C’era sfuggita qualche mese fa una interessante ricerca (per essere più corretti si tratta di un working paper) pubblicata nel sito dell’American Association of Wine Economists (www.wine-economics.org) dal titolo decisamente provocatorio:”Everything you know about wine is wrong – Tutto quello che sai sul vino è sbagliato”.
Gli autori sono Lee Hannah, senior scientist presso il Betty and Gordon Moore Center for Science and Oceans Conservation International e Terra Alpaugh, ricercatrice presso la Donald Brenn School of Environmental Science and Management dell’Università della California.
In pratica l’analisi di Hannah e Alpaugh si fonda su quanto già oggi, ma in particolare quando saremo a metà di questo secolo, alcuni fattori modificheranno profondamente quanto ora conosciamo del vino e della sua filiera nel suo complesso.
I fattori che i due ricercatori hanno preso in esame sono i seguenti: le mutazioni climatiche, le mutazioni della domanda globale, le nuove tecniche di vinificazione e le innovazioni di marketing.
In particolare, è stato evidenziato come le attuali mutazioni climatiche, che faranno sentire ancora di più le loro conseguenze nel prossimo futuro, espanderanno le aree potenziali per la viticoltura anche alle latitudini più a nord e alle maggiori altitudini.
Aree come il Montana ma anche vaste zone dallo Yellowstone allo Yucon saranno adatte alla coltivazione della vite entro metà di questo secolo. Ma già oggi, come ben sappiamo, la vitivinicoltura è ben avviata, ad esempio, in zone come l’Okanagan Valley (in British Columbia-Canada), in Inghilterra e in Tasmania.
Lo sviluppo della vitivinicoltura, pertanto, nel futuro sarà sempre più in relazione sia all’aumento della domanda di vino ma anche dell’idoneità alla coltivazione della vite di un numero sempre maggiore di aree nel mondo. Se la domanda di vino quindi sarà in crescita le previsioni portano inevitabilmente a immaginare che si produrrà sempre più vino in regioni non Mediterranee entro metà di questo secolo.
Ma è altrettanto evidente che tali cambiamenti climatici spingeranno anche le regioni viticole tradizionali, Francia e Italia in primis, ad evolversi verso vitigni più tolleranti alle temperature elevate. Provate ad immaginare, si chiedono i due ricercatori, cosa potrebbe accadere al Pinot Nero in Borgogna, notoriamente una varietà molto sensibile (in negativo) alle alte temperature. Se le mutazioni climatiche saranno confermate anche in futuro potrebbe diventare molto costoso produrre Pinot Noir in Borgogna e sarà più facile a quel punto spostare la produzione in altri territori.
E’ chiaro che una mutazione di questo genere porterebbe inevitabilmente anche ad una rivoluzione sul fronte del marketing e della comunicazione considerando la profonda trasformazione dell’identità di territori storici della viticoltura.
Come pure le più avanzate e intensive tecniche di vinificazione faciliteranno la produzione di vino anche nelle nuove aree produttive e consentiranno adattamenti a questi cambiamenti in quelle vecchie. Su questo fronte il dibattito è molto aperto in quanto, se da un lato le regioni viticole tradizionali sempre di più si stanno evolvendo verso una costante diminuzione della manipolazione della materia prima cercando di enfatizzare il più possibile la vera natura dei vitigni utilizzati, in altre aree, come Napa ad esempio, è da tempo sono accettate tecniche enologiche che modifichino i livelli di zucchero o di acidità. Ci sarà da capire come le mutazioni climatiche incideranno su questi due differenti approcci.
Il crescente desiderio, inoltre, di adeguarsi ad un stile europeo da parte della classe media cinese porterà ad un forte aumento della domanda globale e questo spingerà anche ad un conseguente adattamento sia sul fronte della viticoltura che della vinificazione.
Non è un caso che già oggi – spiegano i due ricercatori – la Cina è il produttore che sta registrando la crescita più veloce di vini di stile europeo. E’ già, infatti, il quinto produttore al mondo con una quota del 15% a livello mondiale. E l’interesse nei confronti dei vini di stile europeo si sta spostando dalla cosiddetta upper class al ceto medio cinese che, secondo gli ultimi dati disponibili, oggi è rappresentato da circa 230 milioni di persone e per il 2022 le previsioni parlano che questa classe raggiungerà ben 630 milioni (i tre quarti della popolazione dei centri urbani in Cina).
A questo punto se la gran parte di questa classe media cinese arrivasse ad un consumo anche della metà rispetto alla middle class americana (23%), si potrebbe arrivare a ben 73 milioni di consumatori di vino nel prossimo decennio.
Secondo i due ricercatori, inoltre, queste mutazioni avranno anche profonde implicazioni sul fronte ambientale, dei modelli industriali e della conservazione, sia nelle zone tradizionali di produzione che in quelle emergenti.
Su questo fronte i due ricercatori ipotizzano scenari che oggi potrebbero apparire anche “paradossali”, come, ad esempio, un impatto molto serio su regioni icona della conservazione ambientale come Yellowston, Yucon ma anche l’habitat dei panda nelle montagne cinesi, che potrebbero essere fortemente coinvolti, in particolare nelle loro aree più meridionali, da futuri investimenti in viticoltura.
Immaginare addirittura gli splendidi panda minacciati anche dal vino ci appare oggi surreale, ma è indubbio che le mutazioni in atto su più fronti anche oggi avranno inevitabilmente un’incidenza sia sul fronte vitivinicolo sia su quello dei consumi e dell’ambiente.
Approfondire nel modo più accurato possibile ci appare oggi un obbligo anche da parte del nostro mondo del vino.

Tutto quello che sai sul vino è sbagliato
Interessante ricerca sulle innovazioni di marketing