La storia di questa azienda enologica parte da un nome: Villa.
Villa non è il nome della famiglia che ha dato origine all’azienda della Franciacorta, bensì il nome appartenuto al primo nucleo abitativo di Monticelli Brusati, un borgo medievale del 1500 nella parte nord della Franciacorta a pochi chilometri dal Lago d’Iseo. Un borgo che ha visto fino al 1960 un susseguirsi di proprietà, fino a quando in quell’anno un giovane industriale, Alessandro Bianchi, si innamorò di quel paesino semi abbandonato. Lui contribuì a dare un’identità e un nome alla Franciacorta.
“Quando arrivò in questo luogo, mio padre, si rese subito conto della condizione misera in cui vertevano le famiglie contadine: non vi era acqua corrente né elettricità; inoltre vigeva la mezzadria e, a causa di fenomeni grandinigeni piuttosto pesanti, il raccolto era compromesso” racconta Roberta Bianchi, figlia del fondatore e amministratore delegato dell’Azienda.
“Da subito la sua idea fu quella di rendere la vita di questi contadini più dignitosa, salariandoli e soprattutto risanando le loro abitazioni, fornendo luce e acqua. Decise così di riportare il Borgo agli antichi splendori e valorizzare le potenzialità dei terreni di proprietà”.
Come è nata la passione per il vino?
La proprietà è abbracciata da cento ettari di terreno che davano un vino che già Gabriele Rosa, storico dell’Ottocento, definiva uno dei migliori vini rossi della Franciacorta.
Mio padre, avvalendosi di validi consulenti, fece una zonazione dei terreni e nel 1978 arrivò la prima bottiglia di Franciacorta, il primo brut.
In tutti questi anni abbiamo scelto di continuare a produrre vino rosso, come da tradizione, ma cercando di cambiare i tipi di impianto e lavorando sulla zona collinare, i Gradoni (la nostra collina, che raggiunge una pendenza del 45%), risanando i muretti a secco di origine etrusca, ristrutturati e resi fruibili per una viticoltura a terrazzamento di tipo “eroico”. Negli anni abbiamo aumentato il numero di ettari piantati a vigna, andando a identificare i micro-terroir più vocati per arrivare oggi a una superficie vitata di 37 ettari su 100 di proprietà; il resto è boschivo e seminativo. Abbiamo infatti selezionato i terreni più adatti, che oggi producono 250.000 bottiglie di Franciacorta e più di 50.000 bottiglie di Curtefranca, quindi vini bianchi e rossi.
Perché ancora rossi?
Molti lo chiedono. Per noi è importante farlo al fine di valorizzare la nostra storia. Siamo riusciti a produrre perfino un Barbera in purezza.
Produrre solo con uve proprie e avere il controllo dell’intera filiera; millesimare tutta la produzione di Franciacorta, con una permanenza sui lieviti di minimo 36 mesi fino a un massimo di 10 anni. Inoltre abbiamo scelto di focalizzare la vendita esclusivamente al canale HORECA.
Che percentuale fate di estero e di nazionale?
La percentuale di vendite all’estero si attesta sopra la media generale della Franciacorta (che si aggira intorno al 15%) al 20%. Il nostro mercato estero principale è il Giappone, segue la Svizzera.
Cosa ha spinto Suo padre a concentrarsi sui Millesimati?
Il motivo del focus sui Millesimati deriva dal fatto che il terroir di Monticelli Brusati è diverso dalla zona sud della Franciacorta: la lingua del ghiacciaio ha creato quello che conosciamo oggi come anfiteatro morenico; una volta ritiratosi, ha infatti lasciato in quella zona dei terreni sciolti, ricchi di limo e sabbia.
A Monticelli Brusati il suolo è invece ricco di stratificazioni di marne e argille, capaci di trattenere la giusta umidità, che in annate molto siccitose danno vita ad uve con ottime acidità e particolari sapidità, che ritroviamo poi nei nostri vini; grazie alle colline che lo dividono dal percorso della lingua del ghiacciaio, a Monticelli Brusati troviamo perciò terreni vergini di origine marina.
L’idea di fare solo Millesimati nasce proprio da qui, dalle innegabili potenzialità di questo grande terroir che si esprime in ogni millesimo con caratteristiche diverse donandosi a noi in tutta la sua naturalità. Ci piace l’idea di poter fare delle degustazioni “verticali” con vini di trent’anni, prodotti solo con uve dell’annata per avere la possibilità di leggere ogni singola vendemmia.
Per voi è importante la valorizzazione del territorio in termini di enoturismo…
Dal 1990 abbiamo inaugurato l’agriturismo Villa Gradoni, con i primi 6 appartamenti; oggi sono 22, recuperati dalle vecchie residenze contadine dove le persone vivono un’esperienza di slow tourism. Offriamo una vacanza e un’esperienza di permanenza in azienda con la possibilità di visitare la cantina e degustare i nostri prodotti. Ci piace raccontare la nostra filosofia, raccontare cosa voglia dire per noi essere custodi e non padroni di questo borgo. Un luogo come questo non lo si possiede, lo si tutela e tramanda.
Qual è il ricordo più forte che ha della sua infanzia?
Sicuramente i miei weekend, li passavo in azienda dando il latte ai vitellini e correndo tra i vigneti. Partecipavo alla vendemmia, mio padre mi metteva una cassetta sotto i piedi per farmi arrivare all’altezza desiderata.
Aspetto ambientale di tutela e attenzione: come vi muovete in questo senso?
Da sempre, da prima che si parlasse di sostenibilità, utilizzavamo concimi organici che provenivano dalle nostre stalle; non abbiamo mai usato diserbanti e la presenza delle api nei nostri campi, ottimo indicatore biologico, testimonia la salubrità dei nostri vigneti.
La tutela della biodiversità è per noi la scelta di non vitare tutta la superficie ma rispettare le diverse specie che abitano questi terreni. Anche la ricerca in cantina sui lieviti autoctoni va verso la biodiversità.
Se dovessi esprimere un valore per me importante: “umiltà”, in quanto l’uomo può fare, ma deve essere capace di fermarsi senza andare oltre e avere rispetto per madre Natura.