Per chi, come Paolo Tiefenthaler, può testimoniare con competenza ed esperienza diretta le caratteristiche delle ultime 35 annate emerge uno scenario chiaro: le vendemmie, fisiologicamente diverse una dall’altra, con annate in anticipo e stagioni tardive, oggi sono pericolosamente segnate non tanto e non solo dall’innalzamento delle temperature, ma dalla prepotenza delle manifestazioni, dall’eccezionalità dei fenomeni e dal depauperamento violento delle condizioni di equilibrio della pianta.

Ne nascono due domande collegate tra loro: fino a quando questo cambiamento sarà dominabile? E cosa può fare il viticultore per gestire in vigna questi impatti imprevedibili?

La risposta di Casale del Giglio in questo momento è essenzialmente agronomica; in cantina si lavora di conseguenza, e la tecnica enologica può fare fino a un certo punto, e la vera sfida deve raccogliersi in termini di cura del vigneto.

Le attenzioni in vigna, un tempo critiche soprattutto nei mesi estivi, quando la pianta rischiava il collasso per gli eccessivi rialzi di temperatura, devono essere anticipate anche prima della fioritura, per creare le premesse di una pianta performante al momento del frutto, di una pianta che sappia esprimere vigore e fecondità.

Anzitutto, si osserva che l’età del vigneto fa molta differenza: in un simile contesto certamente la vigna vecchia mostra maggiore capacità di difesa, maggiore resistenza allo stress; il suo trend di crescita è meno sparato, meno esuberante, più graduale, mentre la vigna recente, con il suo vigore giovanile, rischia di esplodere e di collassare al variare repentino e drastico delle condizioni atmosferiche.

In secondo luogo non può trascurarsi il fatto che alcune varietà sono maggiormente resistenti alle intemperanze dei climi attuali. Tra i bianchi, il Petit Manseng e il Sauvignon Blanc mostrano maggiore resistenza rispetto ad altri agli stress del clima; un discorso a parte per il Bellone, costituzionalmente preparato alla penuria di acqua, e predisposto a crescere bene sulle sabbie, ma che, vista l’eccezionale mancanza di acqua a cui ci sta abituando il nostro presente, potrà beneficiare di un graduale spostamento verso l’interno, su terreni più fertili. Petit Verdot e Shiraz si destreggiano meglio di altri rossi come Merlot e Cabernet Sauvignon.

Il comune denominatore delle varietà resistenti è la lentezza di maturazione e l’autoregolazione. L’autodifesa dalle malattie e la resilienza ai climi impazziti rendono le piante di queste varietà più adatte a fruttificare in equilibrio.

Con le parole dello stesso Paolo Tiefenthaler, “se in termini di filosofia aziendale produrre un vino “a posto” e capace di resistere nel tempo rimane ovviamente centrale nei nostri obiettivi enologici, oggi il nostro progetto di ricerca sta man mano virando verso la valorizzazione dei vitigni, autoctoni in senso stretto oppure adattati, ma in ogni caso identitari per il nostro terroir, che siano più attrezzati per vincere la battaglia del clima: in poche parole, i vitigni “autoctoni” del futuro.