Sarebbe errato osservare il “continente enologico” siciliano partendo dal suo insieme e ricercando all’interno tante strutture speculari, coerenti, omotetiche e replicabili come nella teoria dei frattali. La Sicilia sin dalla sua genesi è culla di diversità per cui sia che si parli di cultura, che si parli di popolazione o territori, per permetterci di conoscerla bisogna provare a partire dalle diverse identità che la compongono.
Il primo merito del Discovery Nero d’Avola, press tour organizzato con maestria dalla Doc Sicilia nei giorni scorsi, è stato togliermi dalla testa uno sguardo “a frattale” a vantaggio di una visione d’insieme rispettosa delle differenze dell’autoctono siciliano. Portare attenzione ad esse mi ha permesso di trovare sin da subito una coerenza di lettura tra le peculiarità dell’isola ombelico del Mediterraneo e le tante espressioni territoriali e degustative di questo suo vitigno estremamente identitario: il Nero d’Avola.
Il paradigma che ho cercato di applicare nel mio sforzo di inquadrare questo vino non poteva essere rigido come quando l’osservazione di un fenomeno porta alla definizione di una regola, anzi al contrario diventa necessario un paradigma flessibile capace di adattarsi alle regole del gioco che questa sfaccettata e complessa varietà ci impone, forte della cura e dell’attenzione che l’uomo le dedica.
È spettato al Presidente di DOC Sicilia Antonio Rallo presentarci qualche numero a sostegno di questa necessità di flessibilità interpretativa: la superficie vitata siciliana è di 97 mila ettari, di cui 15 mila allevati a Nero d’Avola, secondo di poche centinaia di ettari al Catarratto bianco lucido. Troviamo questa uva a bacca rossa nell’agrigentino (5105 ettari), trapanese (4174), nisseno (2701), palermitano (1363) e in misura minore nelle altre province così da poter definire quattro macroaree caratterizzate da diversa pedologia, vicinanza alla costa ed altimetria: area occidentale, centrale, sud-orientale e nord-orientale.
La grande scommessa di DOC Sicila con il Nero d’Avola inizia almeno nel 2016 ed è facilmente intuibile dall’aumento degli ettari rivendicati DOC (da circa 2,6 mila a 8,6) e dell’imbottigliato che, con una crescita del +441%, in 5 anni si concretizza con numeri vicini alle 43,5 mila bottiglie.
Cifre illuminanti, ma il dato a mio avviso più significativo sta nel numero di cloni che caratterizza questa “popolazione” Nero D’Avola: 73 biotipi sono infatti oggetto di studio a Biesina nel vigneto collezione.
Il Nero d’Avola negli ultimi anni si eleva dunque per volontà del Consorzio al ruolo di portabandiera della nutrita rappresentanza degli autoctoni della Trinacria, ma il compito comunicativo di questa operazione rivolta a trade, operatori e consumer non può non tenere conto dei rischi insiti nei mille volti figli della grande adattabilità di questa uva.
Lucio Matricardi, enologo di Feudo Arancio, durante l’interessantissimo incontro avuto in azienda è stato molto chiaro nello spiegare che la caratteristica genotipica del Nero d’Avola è essere adattabile alle influenze ambientali. Cambiando quindi le condizioni fenotipiche, climatiche e di terreno, è una pianta malleabile che si adatta e risponde con profumi e caratteristiche diverse.
Per quanto una regola non la troveremo, diventa ancor più necessario dare delle linee guida al trade ed al consumatore quando un’uva può avere così tante espressività differenti!
Gunther, titolare dell’omonima azienda Di Giovanna, ci dice che una delle tante sfide che caratterizzano il suo encomiabile impegno di produttore sta proprio nel ridurre il più possibile il gap tra qualità offerta e percepita. A mio avviso è stata una folgorazione in senso positivo sfogliare la sua brochure aziendale e rendermi conto di come ciascuna linea prodotto sia espressione di un preciso terroir aziendale che, a sua volta, conferisce ai vini varietali dei marcatori sensoriali coerenti con quel determinato suolo, esposizione e stagionalità. Con indicazioni descrittive semplici, in Di Giovanna sono arrivati a rendere chiara, ad esempio, la differenza tra i loro tre Nero d’Avola aiutando il visitatore ed orientandone le scelte.
Può essere dunque l’identificazione delle zone di produzione una delle chiavi di lettura per aiutare chi si trova a scegliere un Nero d’Avola?
La cooperativa Settesoli, oggi sapientemente condotta dal Presidente Giuseppe Bursi, in maniera pioneristica a metà anni 80 compì una zonazione dei vigneti dei soci e per 15 anni studiò senza esitazione nelle proprie vigne sperimentali le varietà rendendo Mandrarossa Winery, a Menfi (città italiana del vino 2023), una realtà capace di tracciare l’origine del prodotto sia dal punto di vista del biotipo che della particella produttiva.
Ma se cloni, argilla, limo, carbonato di calcio, medio-impasto, tufo e sabbia possono significare tanto per noi operatori, non si può dire altrettanto per gli utenti. Trovare dei criteri semplici per guidare le scelte del consumatore su quale Nero d’Avola portare a cena con una tagliata di tonno, piuttosto che con un piatto di busiate alla Norma, potrebbe passare dall’individuare la culla d’elezione della produzione di questo grande vino in modo da dare inizio alla costruzione di una piramide qualitativa con sottozone che vadano a marcare un nuovo posizionamento per questa varietàche con i suoi prodotti oggi non trova ancora giustizia nel mercato ed ha bisogno di indicatori di più facile lettura per valorizzarsi e farsi scegliere.