Il vino è una bevanda per vecchi? Se si legge l’analisi dello stato dell’industria del vino negli USA – redatto dalla divisione vino della Silicon Valley Bank (di cui abbiamo già scritto in questo articolo) – la risposta dovrebbe essere inesorabilmente .

I consumatori di vino più anziani negli USA (ma le cose non sono poi così diverse da noi, pur non avendo un osservatorio sui consumatori così efficace come quello della SVB) stanno avendo un impatto positivo sulle vendite di vino con una crescita della quota di consumo anche nella fascia di età tra i 70 e gli 80 anni. La linea di demarcazione tra l’aumento della quota di consumo e il suo calo è all’età di 60 anni, con il segmento sopra questa età in crescita mentre quello sotto vede ridurre il suo consumo.

La buona notizia è che i boomer americani non mollano e continuano a dimostrarsi i più affezionati al vino e se, come scrive simpaticamente Rob McMillan, fondatore della Silicon Valley Bank Wine Division, “la loro pensione non verrà massacrata dalle tasse potranno continuare ancora per un po’ ad essere determinanti per il wine business”.

Il problema è proprio quell’”ancora per un po’”. Ma il countdown è già partito da tempo considerando che i consumatori boomer negli USA vengono sostituiti da acquirenti più giovani ad un ritmo di ben 10.000 al giorno.

Inutile girarci tanto intorno: noi boomer, che abbiamo dato un contributo determinante all’evoluzione dei consumi di vini di qualità nel mondo, siamo inesorabilmente destinati all’estinzione.

Non ci sarebbe nulla di male (si fa per dire) se l’industria del vino avesse, nel frattempo, trovato nuove strategie di marketing e di comunicazione per approcciare i consumatori più giovani, ma questo non sta avvenendo e lo abbiamo più volte evidenziato anche in numerosi nostri articoli.

Sempre il bravo McMillan sottolinea come questa difficoltà di evolversi del settore vitivinicolo gli ricordi anche grandi imprese di successo (General Electric, Kodak, Blockbuster, eccetera, eccetera) che non sono state in grado di comprendere i venti di cambiamento obiettando alle diverse stimolazioni: “È quello che facciamo, e ha sempre funzionato”.
Anche se non viene enunciata, questa è esattamente la frase che si percepisce costantemente emergere da gran parte delle nostre imprese del vino e dai tanti soggetti istituzionali che operano all’interno della filiera vitivinicola.

Non voglio apparire brutale o ingeneroso, ma se mi chiedessero quali sono le innovazioni comunicative (o commerciali) che vedo all’interno del nostro settore vitivinicolo, onestamente risponderei: nessuna.

Eventi tutti uguali, comunicazioni aziendali che si copiano l’una con l’altra, innovazioni digitali solo sulla carta. Non voglio sembrare nostalgico, ma le novità di oggi sono quelle che alcuni visionari avevano già scritto e definito oltre vent’anni fa.

È vero che ogni tanto emerge qualche afflato innovativo ma, se non rientra nel mainstream delle “solite imprese” o nelle grazie del potere politico-istituzionale, è quasi impossibile che possa vedere la luce e svilupparsi in maniera completa.

Non sono poche, a questo riguardo, anche le giovani realtà nate in questi anni che per sopravvivere sono state costrette ad essere inserite e/o accreditate da qualche istituzione o associazione di turno. È questo, a mio parere, uno dei motivi per i quali anche le innovazioni digitali faticano a dare il loro contributo nel mondo del vino: perché invece di essere veicolate in maniera libera, stimolando le imprese a scelte mirate, aperte, illuminate, sono sempre condizionate dal cosiddetto “imprinting istituzionale”, da qualche misura comunitaria per coprire le spese. Altrimenti…

Quasi ogni giorno, giovani professionisti o società ci interpellano per proporci qualche loro idea per migliorare l’immagine, la vendita, l’export del vino italiano. Sono spesso idee interessanti, ma la maggioranza muore perché nessuno vuole investire (nella speranza che la società venga inglobata da qualche associazione capace di attrarre finanziamenti pubblici; in questo modo, quelle che potevano essere virtuose realtà private si trasformano nel solito organo di categoria).

È come se il nostro settore avesse paura di qualsiasi novità e ritenesse che solo replicando la stessa modalità di azione in eterno vi potesse essere una seria garanzia di sopravvivenza.

Ed è difficile che con una modalità comunicativa vecchia, di gestione delle imprese vecchia, di istituzioni che rappresentano il settore vecchio si possa arrivare ad idee nuove, a progetti innovativi, a strategie di marketing attrattive per i consumatori più giovani.

Non possiamo quindi meravigliarci se, di fronte alla domanda: “Quale bevanda porteresti a un party o una cena da amici?”, il 49% dei partecipanti di età superiore ai 65 anni negli USA sceglierebbe il vino (in contrasto con i giovani tra i 21 e i 24 anni, di cui solo il 15% lo prenderebbe in considerazione).

Ma sì, tanto vedrai che cambieranno idea quando saranno vecchi.