Sono onesto: pur avendo letto parecchi report e articoli al riguardo, non mi ero mai appassionato al tema della cannabis come possibile competitor al consumo di bevande alcoliche, compreso il vino.
Poi, un recente viaggio di lavoro a New York mi ha fatto cambiare idea completamente. Dal 31 marzo dello scorso anno, lo Stato di New York ha ufficialmente legalizzato l’uso di marijuana a scopo ricreativo per tutte le persone di più di 21 anni. E’ stata legalizzata anche la coltivazione fino ad un massimo di 12 piante per abitazione. Non è stata certo una novità, considerando che negli USA l’uso di cannabis è legale anche negli Stati di Washington, Oregon, California, Nevada, Arizona, Alaska, Nuovo Messico, Colorado, Montana, Illinois, Michigan, Virginia, New Jersey, Connecticut, Massachusetts, Vermont, Distretto di Columbia e Maine.
Ma quello che sta succedendo a New York non l’avevo visto e percepito negli altri Stati che avevo comunque recentemente visitato in questi ultimi due, tre anni.
Se prima del 31 marzo scorso l’odore più frequente percepibile nella Grande Mela era quello dei gas di scarico delle auto o quello degli hot dog quando ci si avvicinava ai molteplici food truck sulla strada, ora è il tipico sentore di cannabis ad avvolgere New York e, in particolare, proprio il suo cuore centrale, la penisola di Manhattan.
Se ci avessero detto, anche pochi mesi fa, che Times Square sarebbe diventata uno dei più grandi luoghi di vendita di marijuiana al mondo ci saremmo messi a ridere, ma ora tutto questo è una realtà. Un business incredibile nelle mani, almeno a sentire gli esperti, di poche multinazionali, americane e olandesi.
Sta di fatto che, oggi, negli USA possiamo seriamente considerare la cannabis un reale competitor del vino soprattutto tra le fasce di consumatori più giovani.
Lungi da me voler disquisire su come sia stato possibile che il processo di legalizzazione del consumo di marijuana potesse avere una così forte accelerazione, però mi sento di evidenziare come quello che non è riuscito in anni di battaglie di alcune fazioni politiche sia invece stato realizzato dalla forza di grandi gruppi di interesse economico. Un’ulteriore dimostrazione di come l’economia o, per essere ancora più espliciti, i soldi consentano di raggiungere risultati ben superiori alle “ideologie” (se così si possono definire).
Chiusa la parentesi “politica”, è interessante e utile aprire quella “sociologica”. Quanto potrà, pertanto, incidere questa diffusa legalizzazione della cannabis negli USA (che, con i suoi oltre 33 milioni di ettolitri, rappresenta il principale mercato del vino a livello mondiale)?
Viene facile ipotizzare che, soprattutto sulle giovani generazioni, l’impatto potrà essere notevole.
Mi rendo conto che analizzare questa tematica ci obbliga ad addentrarci in un terreno minato su una problematica che, senza dubbio, coinvolge tutte le bevande alcoliche: quella dell’abuso. Negare che, soprattutto per i giovani, il consumo di alcol in qualche misura abbia anche a che fare con il cosiddetto “sballo”, sarebbe da ipocriti.
Ritengo che più o meno tutti, andando magari indietro con la nostra memoria, ricordiamo come i primi approcci alle bevande alcoliche avevano a che fare con il tema della “trasgressione”. Quelle prime sensazioni di euforia o stordimento, senza arrivare agli estremi dell’ubriacatura, sono esperienze che praticamente tutti hanno vissuto. In questa fase che possiamo definire “formativa” della nostra vita, le prime esperienze diventano determinanti anche sul fronte dei consumi.
In particolare, in società, come quella nordamericana ad esempio, dove la cultura del vino non è certo legata alla storia e tradizione, il rischio che il consumo di cannabis possa essere molto più attrattivo per i giovani rispetto al cosiddetto “nettare di Bacco” è un’ipotesi meno remota di quanto si possa immaginare.
Non esistono al momento dati certi, ovviamente, anche se è ormai nota la difficoltà del vino di attrarre giovani consumatori. Tuttavia, secondo un’interessante indagine della Silicon Valley Bank, proprio negli USA la percentuale di consumatori di vino della gen Z (21-23 anni) era passata tra il 2018 e il 2020 da 1,7% a 2,9%. Pur essendo ancora la generazione meno rappresentativa nel consumo di vino, stava comunque dando alcuni segnali interessanti che potrebbero essere fortemente ridimensionati dallo sviluppo del consumo di cannabis.
Tutto ciò, pertanto, porta ancor di più in primo piano l’importanza di sviluppare nuove strategie di comunicazione del vino molto più in sintonia con le aspettative delle giovani generazioni.
Non significa, ovviamente, scimmiottare gli attuali modelli comunicativi utilizzati sul fronte dei produttori di cannabis nelle sue varie forme (compresa la sua inclusione in numerose bevande), ma trovare una via nuova per il vino.
Uno dei vantaggi attuali della cannabis, infatti, sul fronte comunicativo è il suo apparire un prodotto “nuovo”, mentre il vino è spesso “vittima” della sua storia.
Riuscire a rendere “cool”, “trendy” l’immagine del vino non solo è possibile (e anche la sua storia post scandalo del metanolo lo dimostra), ma oggi è più che mai necessario.
Il valore “culturale” del vino, con tutte le sue innumerevoli sfaccettature, non ha paragoni con nessun altro prodotto. Scegliere modelli comunicativi più attrattivi per i giovani non solo è possibile: è uno sforzo sul quale il nostro settore vitivinicolo deve necessariamente concentrarsi. Le aziende non possono essere lasciate da sole in questa difficile sfida.