Non è stato un caso che il primo manager del vino che abbiamo deciso di intervistare nell’ambito della nostra nuova rubrica “In call con il direttore di Wine Meridian”, sia stato Beniamino Garofalo, da marzo 2020 amministratore delegato del gruppo Santa Margherita.
Volevamo ascoltare un manager con un’esperienza non esclusiva nel mondo del vino quindi in grado di poterci dare, in una fase così complessa, un punto di vista più allargato, potendo cogliere le sollecitazioni provenienti anche da altri comparti.
E Garofalo non ci ha certo delusi, anzi ci ha offerto una chiave di lettura che riteniamo possa essere preziosa in una fase che noi continuiamo, pensando di non sbagliarci, rivoluzionaria.
Il punto di partenza di Garofalo che “contamina” tutto il suo pensiero e le relative strategie è “provare sempre ad uscire dagli stereotipi del vino che se da un lato hanno consentito di far crescere il settore per molti anni oggi rischiano di imbrigliarlo”.
In questa frase si racchiude molto dell’approccio di Beniamino Garofalo che ha alle spalle una lunga esperienza manageriale in multinazionali di largo consumo come Pepsico, Heinz, Danone, ma anche nel mondo del lusso con LVMH. Nel mondo del vino è entrato dalla “porta principale”, nel gruppo Lunelli potendo toccare con mano il valore di un brand come Ferrari.
“Sarò sempre grato alla famiglia Lunelli – ci ha tenuto a sottolineare Garofalo – per la fiducia accordata e per avermi dato modo di entrare in un settore per me nuovo ma del quale mi sono subito appassionato”.
Ma la passione per il mondo del vino dell’ad di Santa Margherita non gli impedisce di guardare con razionalità e disincanto ad un settore che molto frequentemente cade nell’autoreferenzialità.
“In effetti spesso si ha la sensazione che noi del vino ci parliamo tutti addosso – racconta Garofalo – ma se questo probabilmente è stato comunque sufficiente per un lungo periodo oggi dobbiamo uscire dalla logica esclusivamente b2b per entrare in quella nuova del b2c perché il nostro futuro è nell’individuare una nuova strategia di dialogo con i consumatori”.
Indubbiamente la pandemia ha accelerato processi che erano in atto anche nel recente passato, evidenziando i limiti di un modello di approccio al mercato esclusivamente legato all’intermediazione dei cosiddetti buyer, italiani ed esteri.
“Oggi questo non è più sufficiente e questa pandemia ce l’ha fatto capire chiaramente – sottolinea Garofalo – perché ci sta costringendo, forse per la prima volta, a costruire relazioni molto più dirette con i consumatori finali sia attraverso la comunicazione digitale sia con l’e-commerce”.
“Ma non è solo questione di strumenti – aggiunge Garofalo – è proprio la storia attuale che ci obbliga a definire un nuovo modello di relazione con i consumatori. E pertanto, prima di tutto, dobbiamo finalmente imparare a conoscerli meglio. Per un sacco di tempo il mondo del vino ha potuto non conoscere bene il suo interlocutore finale, ma oggi questa lacuna va colmata velocemente”.
Ma non sarà certo facile.
“Certo – spiega Garofalo – è un’operazione molto complessa che spinge il nostro settore vitivinicolo a fare qualcosa che onestamente non è nella sua natura: fare squadra. Se non vinciamo l’individualismo atavico di noi italiani e, in particolare di settori come quello del vino, non potremmo mai costruire strategie forti di approccio ai consumatori e ai mercati internazionali”.
“In questa direzione, inoltre – aggiunge Garofalo – non ci aiuta la grande frammentazione del tessuto produttivo che se ha rappresentato un plus nel passato, anche per la straordinaria varietà vitienologica che ha garantito e garantisce, rischia di diventare un pericoloso limite se non si trovano sinergie comuni”.
Possiamo veramente affermare che è finita un’epoca?
“Non sappiamo ancora esattamente cosa sarà il tanto decantato “new normal” – sottolinea Garofalo – ma sicuramente alcune delle trasformazioni attuali le ritroveremo anche quando la pandemia sarà finita. Ad esempio l’abitudine delle persone di consumare il vino a casa. Di legarlo ad un’esperienza a tavola con la propria famiglia. Sperimentando nuove ricette. Andando per la prima volta al supermercato scegliendo i vini con un criterio diverso, per certi aspetti più evoluto, non a caso nella gdo in quest’ultimo anno si sono venduti vini anche di maggior prezzo”.
“Ecco, visto che siamo sul tema della grande distribuzione – sottolinea con forza Garofalo – è veramente arrivato il momento di chiudere la guerra ideologica tra gdo e horeca. Sono due canali fondamentali per il nostro settore e non sta scritto da nessuna parte che la distribuzione moderna non possa rappresentare, come in gran parte sta già facendo, un importante veicolo anche per vini premium e superpremium”.
E l’impatto di Covid-19 sul Gruppo Santa Margherita?
“Siamo stati e siamo una realtà assolutamente resiliente – spiega il ceo di Santa Margherita – e questo ci ha consentito di chiudere l’anno in linea con il 2019, con un -8% di ricavi considerando la bottom line. Un risultato positivo nonostante tutto ottenuto anche grazie alle performance in un mercato strategico come gli Usa dove siamo ancora una volta cresciuti e dove il nostro Pinot Grigio (che quest’anno tra l’altro festeggia i 60 anni ndr) si è confermato uno straordinario “bene rifugio” per i consumatori americani. Pertanto negli Usa, Canada e Australia siamo riusciti a registrare anche nel 2020 un aumento del fatturato a doppia cifra.
“Ma soprattutto – aggiunge Garofalo – il 2020 è stato un anno altamente “educativo” per tutto il settore vitivinicolo italiano. Abbiamo compreso, infatti, come sia fondamentale essere dinamici, reattivi, saper diversificare al meglio anche l’approccio ai canali distributivi. Ma abbiamo anche constatato come la via della premiumisation non solo non si è interrotta ma per certi aspetti ha avuto ulteriori accelerazioni e questo deve farci comprendere ancora meglio le aspettative dei consumatori”.
Il Gruppo Santa Margherita
Santa Margherita Gruppo Vinicolo, oggi una delle principali realtà italiane del mondo del vino. Presente in 94 mercati in tutto il mondo, raggruppa dieci diverse tenute in alcune tra le regioni più belle dell’enologia italiana – Santa Margherita, Torresella, Kettmeir, Ca’ del Bosco, Cà Maiol, Lamole di Lamole, Vistarenni, Sassoregale, Terrelíade e Cantina Mesa – per una superficie vitata oggi superiore ai 690 ettari, con vendite che nel 2019 hanno superato i 22 milioni di bottiglie, per un fatturato di oltre 189 milioni di Euro. Al mosaico nazionale si aggiunge poi Santa Margherita USA, società controllata d’importazione diretta con sede a Miami. Questa compagnia è distributrice di tutti i brand del Gruppo così come di altre primarie realtà italiane del settore, il cui numero è destinato ad aumentare in futuro.