Martedì 14 novembre si è chiusa la due giorni di wine2wine, giunta quest’anno alla sua decima edizione. Un appuntamento fondamentale per tutti coloro che vogliono comprendere meglio non solo lo stato attuale dei mercati del vino, ma soprattutto i possibili scenari futuri.
Sono stati molti i seminari che hanno fotografato, in particolare, le attuali dinamiche dei consumi di vino a livello mondiale che si caratterizzano da segni meno un po’ ovunque.
Occasione straordinaria è stata il seminario sul mercato americano che, già dal titolo, faceva presagire tutto: “Preoccupanti trend del comportamento dei consumatori USA”. Relatore il bravo Danny Brager – che per oltre vent’anni ha diretto la Beverage Alcohol Practice Area per Nielsen negli Stati Uniti e oggi è tra i più autorevoli consulenti per lo sviluppo del wine business negli USA – moderato da Ettore Nicoletto, AD del gruppo Angelini Wines & Estates.
Lo scenario raccontato da Brager era, per la verità, già noto, in particolare la perdurante difficoltà di intercettare l’interesse nei confronti del vino dei giovani consumatori statunitensi, la cosiddetta “GenZ”, sempre più coinvolta in quello che viene definito il “Damp Drinking“, ovvero un consumo estremamente moderato di bevande alcoliche.
Una scelta che oggi, negli USA, coinvolge praticamente quasi la metà tra Millennials e GenZ.
“Ma allo stato attuale – ha sottolineato Brager – negli USA il 45% della GenZ dichiara di non consumare bevande alcoliche. Senza dimenticare che, secondo un’analisi di Morning Consult, il 52% dei consumatori tra i 21 e i 34 anni dichiara che anche un consumo moderato sia comunque negativo per la salute”. Quest’ultimo è un dato particolarmente preoccupante, se si considera che nel 2018 la percentuale era del 34%.
Quali sono, pertanto, i fattori che hanno innalzato in questi ultimi anni così notevolmente le preoccupazioni dei consumatori USA riguardo la propria salute in relazione al consumo di vino?
Il 50% manifesta preoccupazioni soprattutto per il contenuto di solfiti; il 47% è invece maggiormente preoccupato dalla presenza elevata di zuccheri, mentre il 32% è intimorito dall’alto contenuto calorico.
Le cosiddette preoccupazioni “salutistiche” sono in costante crescita sia in relazione alla dura esperienza del Covid che relativamente ai sempre più pressanti appelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, da qualche anno, ha dichiarato guerra al consumo di bevande alcoliche (anche in modalità moderata). Gli effetti di queste campagne anti alcol ormai sono sempre più evidenti ed è chiaro il loro impatto anche su una bevanda come il vino.
Continuare a provare a far percepire i valori “culturali” del vino e la sua lunga tradizione in tante civiltà della storia umana non è più sufficiente: è necessario trovare alternative nella comunicazione, se non vogliamo perdere ulteriori quote di consumo.
E, riguardo quest’ultimo aspetto, Brager è stato esplicito nel sottolineare come il vino appaia il prodotto meno innovativo tra le bevande alcoliche, anche dal punto di vista comunicativo.
“E questo è un grave problema – ha spiegato Brager – se consideriamo che oggi la GenZ negli USA è caratterizzata da una grande diversità rispetto alle generazioni che l’hanno preceduta. Basti pensare al multiculturalismo che sta incidendo fortemente anche sugli stili di vita di gran parte dei giovani americani”.
Ma basterebbe seguire qualche serie TV americana per rendersi conto di cosa sta succedendo nella società statunitense, dove stanno venendo meno gran parte di quei fattori e valori che avevano caratterizzato la generazione dei cosiddetti “boomer”.
Immaginare, pertanto, che possano essere ancora valori come la tradizione, le radici culturali, il terroir, le tecniche produttive ad intercettare l’interesse dei ventenni americani è pura follia.
Purtroppo, però, pur essendo consapevoli dell’inutilità nel proseguire con i medesimi modelli comunicativi del vino di oltre trent’anni fa, vi è un’oggettiva difficoltà nell’individuare strade nuove.
È indubbio (e, anche in questa direzione, i dati presentati da Brager sono stati esemplificativi) che la crescita dei consumi di spirit negli USA testimonia come un modello di comunicazione più “trasgressivo”, più in sintonia con la cultura attuale dei giovani consumatori, sia certamente più vincente.
“Mi rendo conto, però – ha giustamente sottolineato Brager – che per le grandi company di spirit, come ad esempio la gigantesca Diageo, è molto più facile avere risorse per fare azioni comunicative e ADV di grande appeal”.
Sarebbe fondamentale che almeno le grandi imprese del vino (non solo italiane, per la verità) iniziassero a rompere alcuni schemi e a raccontare il vino in modalità più innovativa.
Senza dimenticare (e anche questo è emerso ulteriormente a wine2wine) che il comparto del vino non può perdere il treno delle produzioni low o no alcol che evidenziano di anno in anno crescite rilevanti.
Per la prossima edizione di wine2wine, in conclusione, auspico qualche speaker in meno e qualche case history in più, in grado di testimoniare esperienze virtuose sia dal punto di vista commerciale che comunicativo.
Limitarsi oggi a illustrare “solo” degli scenari senza provare almeno ad ipotizzare soluzioni rischia di essere troppo limitativo, considerando la complessità di questa fase storica e la necessità di avere almeno alcune strade da seguire.