Dopo una “pausa” di un mandato Maurizio Montobbio è tornato in sella alla presidenza del Consorzio tutela vini del Gavi. Avevo conosciuto Montobbio durante il suo primo mandato e avevo avuto modo di apprezzare il suo sano pragmatismo che gli aveva consentito di dare un grande impulso operativo all’attività del Consorzio.

Per questa ragione il suo ritorno a gestire le redini della più nota denominazione “bianca” del Piemonte è stato da tutti gli addetti ai lavori particolarmente apprezzato.

Innanzitutto presidente ci può spiegare le ragioni di questo “ritorno”?

Non voglio apparire superbo, non è certo nel mio carattere, e chi mi conosce lo sa bene. Era da mesi che venivo corteggiato affinché accettassi un nuovo incarico di presidenza. Ammetto che speravo che qualche giovane volesse mettersi in gioco ma si vede che i tempi non sono ancora maturi e sicuramente questa fase così complessa non ha agevolato questo passaggio di consegne generazionale. Certo non è stata una scelta facile ma penso che sarebbe stato sbagliato non assumersi delle responsabilità in un momento come questo. Sono comunque assolutamente motivato e ringrazio i miei soci per questa ulteriore fiducia che mi è stata assegnata.

In effetti fare il presidente di un Consorzio non è un ruolo semplice e oggi le cose si sono ulteriormente complicate.

Sicuramente è un ruolo molto più complesso di quanto si possa immaginare. L’aspetto più difficile rimane quello di trovare un punto di mediazione tra le diverse anime della denominazione. Il ruolo del mediatore di fatto è quello che caratterizza gran parte dell’attività di un presidente di un Consorzio di tutela. È vero poi che oggi questo compito si è ulteriormente complicato alla luce non “solo” della pandemia in quanto tale ma da tutti quei processi evolutivi che stanno influendo tantissimo anche sul fronte dei mercati del vino. In estrema sintesi, quindi, oggi un presidente di un Consorzio deve essere una guida per accompagnare i soci e la denominazione in quei cambiamenti necessari per non fare la fine dei dinosauri.

L’immagine della fine dei dinosauri è in effetti molto forte ma sicuramente corrisponde alla realtà. Quali a suo parere i cambiamenti più urgenti?

Ci sono cambiamenti che potremmo definire generali e cioè riguardano tutto il nostro comparto vitivinicolo e altri che sono specifici delle diverse denominazioni. Sull’aspetto generale è oggi fondamentale uno sfoltimento serio della galassia di microdenominazioni che caratterizzano il nostro sistema vitivinicolo. È da tantissimi anni che si denuncia questa situazione ma oggi questa scelta non è più procrastinabile. L’eccesso di denominazioni, infatti, genera una confusione sul mercato impressionante che condiziona inevitabilmente anche le denominazioni più forti. Ma questo “sfoltimento” a mio parere deve avvenire anche all’interno delle aziende che in questi ultimi anni, in particolare, hanno aumentato eccessivamente il numero di etichette con una conseguente difficoltà a fare emergere una identità chiara e riconoscibile. Anche qui nel Gavi abbiamo piccole realtà con una decina di etichette diverse, ma alla fine si tratta sempre della medesima denominazione. Comprendo che vi possano essere diverse interpretazioni ma troppo spesso si esagera con il rischio di generare solo confusione. È poi essenziale rivedere le strategie di marketing e comunicazione sia a livello aziendale che di denominazione. Qui la sfida si fa veramente difficile anche perché servono competenze che non sempre si trovano in azienda e tanto meno dentro i Consorzi. Sempre sul fronte aziendale, inoltre, c’è il problema dimensionale che limita moltissime nostre imprese in particolare nello sviluppo sui mercati internazionali.

Penso però che tutti questi cambiamenti siano stati “solo” accelerati dalla pandemia perché, se andiamo ad analizzare altri comparti, molte delle trasformazioni oggi necessarie nel mondo del vino, si erano già realizzate ben prima dell’arrivo di Covid-19.

Analisi sicuramente cruda ma altrettanto condivisibile. Lei riesce ad individuare qualche soluzione?

Sicuramente non esistono ricette semplici da applicare con facilità sia nelle aziende che nei Consorzi. Dobbiamo però anticipare il più possibile i tempi per evitare di subire molti dei cambiamenti in atto e altri che arriveranno nel prossimo futuro. Chi sarà in grado di reagire velocemente a mio parere potrà intercettare una ripartenza che sono convinto sarà fortissima.

Andando alle soluzioni ritengo che non possiamo pensare che sia solo l’e-commerce la risposta. Sicuramente è servito a tamponare una situazione emergenziale assolutamente difficile ma non la si può considerare la soluzione. Dobbiamo ripensare tutta la filiera vitivinicola partendo dal vigneto che dovrà essere sempre più in grado di sfruttare al meglio tutte la tecnologie a partire dalle biotecnologie oggi a disposizione soprattutto sul fronte della difesa dalle fitopatologie. Oggi abbiamo a disposizione molti più mezzi rispetto al passato per ridurre al minimo l’utilizzo della chimica in campo e in cantina. Ma sul fronte dei mercati è chiaro che il lavoro più importante dovremo dedicarlo al branding.

A proposito di mercati quale è l’attuale posizione del Gavi?

Penso che dobbiamo rafforzare ulteriormente i mercati del Gavi. Siamo presenti in un centinaio di Paesi ma di fatto non sono più di 10 quelli realmente significativi. Penso pertanto che la nostra attività di promozione dovrà concentrarsi nei primi due o tre mercati, non di più, per evitare inutili dispersioni che rischiano di far diventare la nostra denominazione ancor più piccola.

La nostra strategia è quella di portare il Gavi in questi mercati testimoniando con forza la nostra community di produttori. La denominazione, infatti, è tanto più forte e riconoscibile tanto più è rappresentata dai suoi protagonisti, dai più piccoli ai più grandi. Ma è altrettanto indubbio che un asset fondamentale per far conoscere la nostra denominazione in Italia e nel mondo è rappresentato dal nostro prodotto enoturistico. A questo riguardo è una contraddizione, a mio parere, che pur commercializzando oltre 5 milioni di bottiglie di Gavi nel Regno Unito non riusciamo a vendere agli inglesi il nostro territorio. Dobbiamo lavorare molto in tal senso.

Come ritiene dovranno evolversi i Consorzi di tutela per rispondere in maniera più adeguata alle sfide attuali e del prossimo futuro?

È chiaro che se guardiamo alla struttura attuale di gran parte dei Consorzi di tutela italiani siamo ben lontani dall’essere adeguati per le sfide di oggi. Se guardo al mio Consorzio, ad esempio, abbiamo oggi 3 dipendenti e un terzo del nostro bilancio è dedicato a remunerarli. Per questa ragione è necessario studiare anche nuovi modelli di finanziamento dei Consorzi perché se si vogliono realizzare progetti utili e coerenti alle attuali dinamiche dei mercati dobbiamo inevitabilmente mettere mano al portafoglio. Se guardiamo ai budget che oggi la gran parte dei Consorzi ha a disposizione per la promozione sono cifre che fanno ridere a molte aziende private.

Per potersi muovere al meglio, ad esempio, è fondamentale comprendere come si sta evolvendo il mondo, i consumatori, il trade, i mercati nel loro complesso. Sono necessari pertanto strumenti di monitoraggio e di analisi molto più affinati rispetto agli attuali. Non a caso gran parte dell’attività consortile si muove più su basi intuitivi che su reali analisi. Ritengo che vista l’impossibilità di poter creare strutture consortili più grandi, prezioso è il contributo che può venire da consulenze esterne soprattutto per definire strategie di medio lungo periodo attraverso dati delle denominazioni più puntuali e soprattutto attendibili..

Ma un Consorzio non può fare nulla se prima i soci non comprendono che senza una visione comune è difficile portare avanti un marchio territoriale collettivo. Tutti devono accettare di parlare la stessa lingua e questo non va poi a limitare le singole identità ma anzi solo così si possono esaltare.

Qual è l’aspetto che la preoccupa di più attualmente?

Penso che uno dei limiti maggiori della nostra filiera vitivinicola sia una non corretta redistribuzione degli introiti che troppo spesso penalizza, in particolare in questa fase, la parte viticola. In Francia, in questa direzione, c’è molta più attenzione affinché tutti i segmenti della filiera abbiano il giusto riconoscimento a partire da chi produce uva. Senza equilibrio nella filiera il nostro sistema sarà sempre fragile.

L’enoturismo appare come una leva fondamentale per il vostro territorio.

Assolutamente sì anche se penso che Gavi, nonostante i progressi fatti in questi ultimi anni, sia ancora una destinazione ancora da scoprire fino in fondo. Come Consorzio abbiamo dovuto inventarci nel ruolo di promotore turistico facendo soprattutto tanta attività di incoming, in particolare coinvolgendo media turistici. In questi ultimi anni, inoltre, sono nate molte strutture enoturistiche, molte delle quali a conduzione famigliare, che con l’imminente riapertura spero possano dare grande slancio al turismo del vino nel territorio del Gavi. Dal punto di vista promozionale abbiamo voluto concentrarci in questi mesi di chiusura nella realizzazione di un progetto fotografico in grado di dare un’immagine omogenea al nostro territorio. Siamo convinti pertanto che quest’estate sarà un importante trampolino di rilancio del turismo del vino nella terra del Gavi e noi siamo pronti.