Riccardo Ricci Curbastro appartiene a quella, abbastanza rara, tipologia di produttori che non si limitano a guardare solo dentro le proprie aziende ma ti offrono sempre uno sguardo allargato a tutto lo scenario produttivo e di mercato.

Non penso sia un caso, pertanto, che da numerosi anni Riccardo Ricci Curbastro sia anche presidente di Federdoc, la Federazione che riunisce tutti i Consorzi di tutela italiani. Se quindi si vuole avere un’idea precisa sullo stato di salute delle denominazioni italiane sicuramente Ricci Curbastro è l’uomo da sentire.

Ma prima di parlare con lui delle nostre denominazioni siamo voluti partire da come la sua azienda, marchio storico in Franciacorta, stia vivendo questa difficile fase pandemica.

“Abbiamo vissuto, come tutti, diverse fasi – racconta Ricci Curbastro – da marzo dello scorso anno dove siamo stati catapultati dalla mattina alla sera nell’ignoto. Alle speranze estive per ripiombare poi  di nuovo in autunno nell’emergenza. Penso, comunque, che lo stato d’animo collettivo da ormai un anno sia quello della grande confusione. Non avere una visione precisa di ciò che sta avvenendo, anche a causa di interventi politici spesso contraddittori, mette tutti in uno stato di frustrazione ed incertezza. È chiaro che in una situazione del genere chi più chi meno sta pagando un prezzo ingente a causa di questa pandemia. In particolare le realtà, come la nostra ad esempio, che hanno da sempre un rapporto importante con l’horeca inevitabilmente pagano di più rispetto a chi si confronta solo con la grande distribuzione. Complessivamente, comunque, possiamo dire che la nostra azienda non si è mai fermata, con i mercati europei che sostanzialmente sono andati un po’ meglio di quelli del Nord America e dell’Asia. Ma non penso sia questo il momento di fare analisi dei mercati, quanto di sperare che la campagna vaccinale ci porti fuori il prima possibile da questa situazione”.

A proposito di campagna vaccinale sembra che non sia iniziata nel modo migliore confermando le difficoltà anche dei nostri responsabili politici di trovare una strategia adeguata per rispondere efficacemente a questa emergenza pandemica.

“Io penso che dovremmo approfittare anche di questa difficile fase per uscire dal politicamente corretto. Penso di rappresentare l’opinione di molti affermando che la nostra classe politica ha evidenziato in quest’ultimo anno tutti i suoi limiti. Mi dispiace dover constatare che anche sul fronte della politica vitivinicola ben poco è stato fatto per supportare il settore in un’emergenza così epocale. Eppure nemmeno questo ha spinto il nostro settore, a partire dalle organizzazioni professionali, ad esprimere con coraggio e chiarezza il proprio parere, la propria posizione.

Penso quindi che dovremmo utilizzare questa esperienza anche per migliorare la nostra capacità di indirizzare meglio le politiche di settore e non di subirle come troppe volte è successo anche nel recente passato. Senza dimenticare che l’unico modo per selezionare al meglio la classe politica è la meritocrazia”.

In questi mesi è riemerso il tema della frammentazione del nostro comparto come un limite allo sviluppo della competitività del vino italiano. Quale è il suo pensiero?

È indubbio che le aziende più piccole orientate solo all’horeca sono quelle che oggi stanno pagando un prezzo più elevato. Ma sarebbe sbagliato limitarsi solo all’oggi per dare un giudizio corretto al tema della frammentazione del nostro settore. Nel nostro Paese, infatti, ci sono moltissime piccole realtà produttive, famigliari, che da tempo danno un contributo enorme alla credibilità e autorevolezza del vino italiano nel mondo. È sbagliato quindi, a mio parere, limitarsi a guardare il problema della capacità, competitività delle nostre imprese, solo dal punto di vista dimensionale. E’ chiaro che dovrà essere accelerato il processo di ammodernamento e, soprattutto, di investimento in competenze delle nostre aziende e, in questa direzione, ci auguriamo che il cambio generazionale possa dare un buon contributo. Va anche sottolineato come forse troppe aziende in questi anni hanno investito troppo rispetto a quella che era la loro capacità di gestione, soprattutto dei mercati”.

Quale la sua opinione rispetto al tanto decantato “new normal”?

Sicuramente ci stiamo rendendo conto che potremo fare anche in futuro qualche viaggio in meno. Come pure alcune manifestazioni b2b, dove spesso ci siamo trovati più a fare i baristi dietro i nostri banchetti che i “commercianti”, o salteranno o dovranno rivedere fortemente la loro formula. Ma attenzione a non considerare l’alternativa digitale come l’unica soluzione possibile. Al momento non sto osservando grandi alternative ma quello che è certo è che dovremmo studiarne di nuove al più presto.

Molti in questi mesi parlano poi dell’aumento del consumo a casa come un fattore che rimarrà forte anche nel prossimo futuro. Io non lo so se questo avverrà ma rimango del parere che nulla potrà sostituire il fuori casa che è indispensabile per l’economia della nostra filiera.

Poi c’è il tema dell’e-commerce. Sicuramente rappresenta un’ottima opportunità ma io penso che almeno in Europa non vedremo grandi crescite fino a quando non si liberalizzerà la vendita dei vini online che potrebbe offrire una straordinaria opportunità per tutto il sistema produttivo. Trovo che questa “impossibilità” sia veramente un paradosso all’interno dell’Unione Europea. Qualcuno mi deve spiegare perché non posso vendere liberamente vino in Germania? In questo modo faccio arricchire solo le piattaforme terze di vendita online e consento loro, inoltre, di detenere un patrimonio di indirizzi profilati, preziosi per qualsiasi strategia di marketing e commercializzazione”.

Lei è stato tra i primi produttori del nostro Paese, anche nella veste di presidente di Federdoc, a spingere sul fronte della sostenibilità. Sembra che oggi questo fattore stia assumendo un’importanza sempre più forte anche tra i consumatori.

“È vero, sei o sette anni fa quando parlavamo di sostenibilità sembravamo dei visionari, un po’ fuori dal mondo. C’era qualcosa, allora, che non veniva ancora colto. Ora posso dire, con un certo orgoglio, che l’ho fatto prima che Greta mi ispirasse. A parte le battute io credo fermamente che la sostenibilità sia ormai, fortunatamente, un processo irreversibile. Basta guardare come si stanno muovendo anche i Monopoli che sempre di più richiedono vini certificati “sostenibili” nei loro tender. Con la nostra  Equalitas (nata nel 2015 da una iniziativa di Federdoc ed Unione Italiana Vini, raccogliendo l’eredità tecnica e culturale di un movimento di stakeholders per la sostenibilità del vino raccoltisi attorno al Forum per La Sostenibilità del Vino ed al progetto UIV-Tergeo ndr) ormai riceviamo richiesta di adesione di 7-8 aziende a settimana”.

Infine, inevitabile, una domanda sullo stato di salute delle nostre denominazioni e ovviamente dei nostri Consorzi.

Che le denominazioni rivestano un ruolo chiave nell’identità vitivinicola del nostro Paese ormai lo riconoscono tutti. Che in Italia siano troppe è un dato di fatto sul quale da tempo anche come Federdoc stiamo lavorando. Ma è altrettanto vero che tutti si stanno rendendo conto del ruolo chiave che hanno i Consorzi di tutela nel creare quella casa comune indispensabile per tutelare e promuovere le nostre denominazioni. So come voi di Wine Meridian siete attenti osservatori dei nostri Consorzi e di come esortate una crescita delle competenze al loro interno. Vi posso garantire che questo è un obiettivo chiave anche della nostra organizzazione e penso che molti passi in avanti sono stati fatti in questi anni ma altri ancora ne dovranno essere fatti nel prossimo futuro”.