È un mercato che muove circa 5 miliardi di euro di vino europeo e di quasi 2 miliardi di vino italiano. Stiamo parlando degli Stati Uniti, il primo Paese di destinazione dell’export vitivinicolo italiano. Ne ha parlato in un question time organizzato da Unione italiana vini in collaborazione con Veronafiere il presidente degli importatori wine & beverage USA (Nabi), Robert Tobiassen. Tobiassen ha infatti risposto alle curiosità sugli ultimi temi scottanti del mercato di alcuni illustri stakeholder come Lamberto Frescobaldi (presidente UIV), Filippo Polegato (Astoria Wines), Gaetano Marzotto (Santa Margherita), Massimo Romani (Argea), Massimo Tuzzi (Terra Moretti) e Francesco Meggiolaro (Commissione Europea), oltre al direttore del Corriere Vinicolo, Giulio Somma.

Rispondendo alla domanda di Lamberto Frescobaldi sul tema del consumo del vino e delle barriere che ci sono ancora in questo mercato, il presidente della Nabi ha spiegato come il vino sia un prodotto diverso da tutti gli altri, fortemente connotato culturalmente e legato per questo alla normativa statale piuttosto che federale. “Per prima cosa dobbiamo accettare che l’alcol è differente dagli altri prodotti negli USA, entrare nella logica di come è nato il proibizionismo” ha spiegato Tobiassen. Oltre a questo, la presenza di 50 diversi Stati con 50 diverse regolamentazioni interne rende tutto più complicato. Si tratta di un sistema che rende quindi complicato anche il direct to customer per i prodotti stranieri, rendendo di fatto la filiera italiana dipendente dagli importatori. 

E chiacchierando proprio di DTC, Massimo Tuzzi, AD di Terra Moretti, ha chiesto qual è la visione degli importatori su questo canale. 

“Il DTC è un canale relativamente nuovo. 25 anni fa la tecnologia non era così avanzata e disponibile a tutti per renderlo possibile. Oggi i tempi sono cambiati e questo canale offre possibilità molto ampie, oltre che un’offerta di prodotti che può incontrare le esigenze di tutti. Ciò che ci rende scettici è l’impatto che avrà sulla politica e gli interessi e se e come gli importatori saranno un elemento di congiunzione. Attenzione anche alla tassazione che varia di Stato in Stato anche in questo canale” ha detto Tobiassen. 

Quali sono i varietali del futuro negli USA? Ha chiesto Gaetano Marzotto, presidente del Gruppo Santa Margherita.  “Il vino italiano negli Usa non deve indugiare su dettagli del prodotto o delle denominazioni, ma parlare ai consumatori in modo più diretto, empatico: deve saper anticipare l’experience. È importante non solo utilizzare un linguaggio immediato, ma anche trovare i giusti canali di dialogo con il grande pubblico; penso al Super Bowl o alle partite di basket per i nuovi formati”. Un approccio più sensuale che culturale, quindi, che va oltre la profilazione dei consumatori e lo sviluppo di un’awareness sull’offerta italiana. 

Il direttore generale di Astoria, Filippo Polegato, ha parlato di nuove generazioni in un mercato complesso e multiculturale. I dati 2022 per la prima volta dopo 15 anni sono in calo negli Usa e Italia, dimostrando come le nuove generazioni stiano dando sempre più spazio a spirits e cocktail. 

“Domandatevi cosa attrae i consumatori, come integrare i prodotti con le loro richieste” ha concluso Tobiassen.

Secondo l’Osservatorio del vino Uiv sono profondamente cambiate le abitudini al consumo delle tipologie di prodotti italiani: il segmento sparkling (34% l’incidenza sui consumi) ha infatti superato i vini rossi (28%) e ora tallona i bianchi fermi (36%) con una quota di mercato quadruplicata. Ancora nanoshare per i rosé (2%).