La guerra commerciale tra Cina e Australia sta per finire, Pechino potrebbe presto consentire all’orzo australiano di rientrare nel Paese per la produzione di birra. Anche il vino potrebbe tornare sulla tavola dei consumatori cinesi in un futuro non troppo lontano. All’inizio di quest’anno, la Cina ha anche eliminato le restrizioni sul carbone australiano.
L’apparente disgelo è iniziato già a novembre 2022, quando dopo 6 anni il Primo Ministro australiano Anthony Albanese ha incontrato il Presidente cinese Xi Jinping. Ricordiamo che nel marzo 2021 Pechino aveva imposto dazi che tuttora oscillano tra il 116,2% e il 218,4% sul vino australiano, di fatto estromettendo quello che, fino alla fine del 2020, era il primo Paese esportatore di vino in Cina.
Esiste tuttavia un’interpretazione un po’ più complessa degli eventi, soprattutto recentemente. Forse è stata una mera coincidenza che la svolta commerciale sia stata accompagnata da una dimostrazione di forza nei confronti di Taiwan, dopo che ad inizio aprile il presidente della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy ha incontrato a Washington la leader di Taiwan Tsai Ing-wen.
Per tre giorni, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese ha condotto esercitazioni intorno a Taiwan con più di 200 voli di aerei da guerra cinesi in “ondate di attacchi simulati”, secondo l’emittente statale CCTV, mentre la portaerei Shandong girava intorno all’isola.
Come riporta il sito di ABC News Australia, per gran parte dell’ultimo anno, mentre la Cina intensificava le pressioni su Taiwan, il dibattito nella politica interna australiana è diventato sempre più polarizzato.
Culturalmente, filosoficamente e militarmente allineati con le democrazie occidentali, è innegabile che l’Australia si posizioni nell’orbita di Pechino e tragga gran parte del proprio reddito dal commercio e dagli scambi con il gigante asiatico, il che porta molti australiani a sostenere che sarebbe meglio evitare qualsiasi tipo di ostilità.
Emmanuel Macron ha auspicato una posizione neutrale dell’Unione Europea nel caso in cui la Cina dovesse conquistare Taiwan con la forza, ma per l’Australia la partita in gioco sarebbe differente.
La Cina dipende dall’Australia per una delle risorse chiave sia per il settore bellico che edile, il ferro. Se la Cina dovesse attaccare Taiwan, la prima mossa di Washington sarebbe probabilmente quella di pretendere l’immediata sospensione dei rapporti commerciali. Rifiutarsi, in sostanza, significherebbe sostenere la Cina in un conflitto con gli Stati Uniti. Di conseguenza, l’Australia sarebbe tra i primi a prendere posizione.
L’offensiva commerciale di Pechino si è dimostrata controproducente
Negli ultimi tre anni, la Cina ha cercato di punire l’Australia con una serie di dazi su quasi tutte le principali esportazioni, compreso carbone, legna ed aragoste. Le uniche materie prime escluse erano il ferro ed il gas naturale.
L’unica ragione per cui il ferro è stato escluso dai dazi è che si tratta di una materia prima chiave per la produzione di acciaio, vitale per il settore dall’edilizia cinese in pieno sviluppo. Il ferro australiano non è sostituibile perché nessun altro Paese garantisce gli stessi standard di volume e qualità.
In sostanza la strategia dei dazi del Governo cinese si è rivelata controproducente.
Ad esempio due anni fa, a causa della pesante carenza di carbone, gran parte della Cina continentale ha dovuto affrontare blackout paralizzanti durante uno degli inverni più rigidi mai registrati.
Come per la maggior parte delle materie prime, gli esportatori australiani si sono semplicemente spostati su altri mercati.
Un altro elemento da prendere in considerazione è il fatto che la WTO (Organizzazione mondiale del commercio) sta indagando sui dazi punitivi imposti alla Cina in seguito alle denunce presentate dall’Australia. È piuttosto prevedibile l’esigenza, da parte del Governo cinese, di fare marcia indietro prima di subire una probabile sentenza negativa.