L’industria vinicola sudafricana è in costante crescita e sta attirando l’attenzione dei professionisti del settore. Tuttavia, nonostante la sua alta qualità e un buon rapporto qualità-prezzo, il vino sudafricano rappresenta ancora una piccola quota dei vini importati nel mercato statunitense. Perché questa disparità? La risposta è complessa e affonda le radici nella storia del paese.
Per un gruppo selezionato di professionisti del vino, è noto che l’industria vinicola sudafricana sta vivendo un momento d’oro. Oggi, i vini non sono solo buoni, ma, come afferma Aaron Meeker, direttore nazionale delle vendite per Vine Street Imports nel New Jersey, “alcuni vini sudafricani sono tra i migliori di sempre per qualità-prezzo”.
Tuttavia, nella mente di molti bevitori di vino americani, il Sudafrica rimane un paese vinicolo poco conosciuto, o peggio, il luogo del Pinotage (vitigno autoctono del Sud Africa per antonomasia) dal gusto di gomma bruciata.
Una delle ragioni più evidenti di questa bassa reputazione e notorietà è la distanza, sia fisica che mentale. Robert Lozelle, sommelier all’Angler di San Francisco, afferma: “La maggior parte di noi, me incluso, conoscono poche persone sudafricane… e pochi statunitensi hanno viaggiato fin là”.
Questa mancanza di consapevolezza si riflette anche nei dati. Rispetto ad altri importanti Paesi produttori di vino non europei, il Sudafrica ha la più bassa quota di volume di vino importato negli Stati Uniti, pari a meno dello 0,5%, secondo i dati 2022 di IWSR Drinks, ben al di sotto di altri importanti Paesi produttori di vino non europei, come l’Argentina che, con il 4%, si posiziona in penultima posizione.
Influenza dell’apartheid
Lo stato attuale delle vendite di vino sudafricano negli Stati Uniti può essere fatto risalire al periodo dell’apartheid, il prossimo anno si celebrerà il 30° anniversario della fine di questo orrendo sistema segregazionista durato dal 1948 al 1994.
Nel 1986, in risposta al sistema politico del Sudafrica, gli Stati Uniti approvarono il “Comprehensive Anti-Apartheid Act”, che ha imposto sanzioni al governo sudafricano e ha vietato, tra le altre cose, le esportazioni di prodotti agricoli negli Stati Uniti, compreso il vino.
L’industria vinicola sudafricana durante il periodo in questione ha faticato sia nei mercati domestici che internazionali. La qualità del vino calò nettamente e l’industria non fu in grado di mantenere il passo con le nuove tecniche, le innovazioni globali e le nuove varietà di uva che si stavano diffondendo.
Nel frattempo, negli Stati Uniti era in atto un boicottaggio verso tutto ciò che proveniva dal Sudafrica, compreso il vino. Ci vorrà tempo per cambiare il comportamento di acquisto e la percezione generale.
Occasione mancata
Una volta terminato l’apartheid, l’industria vinicola sudafricana non ha perso tempo nel tornare sul mercato statunitense, ma il rientro è stato in gran parte infruttuoso. “Negli Stati Uniti, subito dopo la fine dell’apartheid, alcuni importatori hanno preso la palla al balzo”, afferma Jim Clarke (U.S. marketing manager for Wines of South Africa). “Ad esempio, Cape Classics, fondata nel 1992, è il nostro più antico importatore specializzato in vini sudafricani. C’è stato anche un certo investimento da parte di grandi aziende come Gallo. Ma ci sono alcune ragioni effettive per cui non ha funzionato così bene”.
Negli anni ’90, l’80% dei vigneti sudafricani era piantato con uve bianche, come Chenin Blanc e Colombard. Ma, come afferma Clarke, “la domanda sul mercato in quel momento era rivolta ai vini rossi”. In seguito c’è stata una grande ristrutturazione. “Nel corso di 10 anni, i produttori sudafricani hanno raggiunto l’equilibrio attuale: il 55% di uve bianche e il 45% di uve rosse”. Il problema? “Molti produttori di vino hanno dovuto imparare a produrre buoni vini rossi perché non avevano esperienza”.
Negli anni ’90, nel tentativo di ristabilire l’immagine del Sudafrica e soddisfare la domanda dei consumatori per i vini rossi di stile internazionale, il Pinotage è stato promosso come l’uva rossa autoctona per eccellenza del Sudafrica.
Il Pinotage era particolarmente svantaggiato perché tutti i manuali di vinificazione si basavano su come produrre Cabernet Sauvignon o Shiraz. Se si vinifica il Pinotage nello stesso modo del Cabernet o dello Shiraz, il disastro è assicurato. Durante la fermentazione si ottengono tutti i tipi di mercaptani e aromi sgradevoli che inevitabilmente producono deviazioni organolettiche nei vini.
Inserendosi sul mercato USA dopo decenni di calo della qualità e mancanza di comprensione delle attuali esigenze del mercato, il vino sudafricano ha fatto una pessima prima impressione negli Stati Uniti e sta ancora pagando lo scotto e tentando di riprendersi.
Mancanza di produttori leader
Oggi il Sudafrica non ha un produttore leader, come Cloudy Bay in Nuova Zelanda o Catena Zapata in Argentina, che possa investire abbastanza per influenzare significativamente il mercato statunitense.
Le quattro principali aziende sudafricane rappresentano solo il 40% dell’industria totale, ciò significa che poche aziende hanno vere economie di scala in grado di imporsi nel contesto internazionale.
Immagine stagnante negli Stati Uniti
In definitiva l’immagine del vino sudafricano negli Stati Uniti non è cambiata molto negli ultimi 30 anni. L’immagine del Pinotage con aroma di gomma bruciata persiste ancora tra gli americani ed è rimasta anche tra i professionisti del settore.
La strategia oggi è quella di concentrarsi molto sul Chenin sudafricano, “ma stiamo anche cercando di identificare le diverse zone vocate, in modo che si possa essere percepibile e identificabile il Cabernet di Stellenbosch, lo Chenin di Swartland o il Pinot Noir di Hemel-en-Aarde” afferma Clarke.
Una crescita graduale sul mercato statunitense
Grazie al fatto che l’inflazione continua a far aumentare i prezzi per regioni classiche come Borgogna e Champagne, il Sudafrica sta registrando un maggior successo nel canale on-premise.
Anche se il Sudafrica può offrire la qualità e il valore che qualsiasi consumatore di vino spera di trovare, c’è ancora una lunga strada da percorrere nell’educare il mercato statunitense sulla vera proposta di valore di questi vini. “Il Sudafrica è solo una piccola goccia nel mondo del vino, specialmente in USA”, afferma Tinashe Nyamudoka, fondatore della cantina sudafricana Kumusha. “La maggior parte degli americani non sa nemmeno dov’è il Sudafrica. Devi insegnare loro prima dov’è il Sudafrica, poi presentare loro il vino. So per certo che non si tratta di qualità; si tratta solo della percezione e del fatto che l’industria sudafricana sta facendo uno sforzo collettivo per promuoversi”.