Se chiediamo ad un produttore italiano di vino qual’è la tipologia che oggi nel mondo si vende meno, quasi sicuramente risponderà: “i vini dolci”. Bianchi o rossi, sembra che nessuno li ami e nessuno li beva. Eppure daL Nord al Sud d’Italia non c’è praticamente regione vitivinicola che non abbia una (sia pur minima) produzione e tradizione di vini dolci.
Oggi chi ancora produce vini passiti lo fa, in genere, per rispetto di una storia millenaria che non può finire nel dimenticatoio, o perché davvero crede nel loro potenziale. Ebbene, dall’altra parte del globo c’è qualcuno che crede in questo stesso potenziale, e in particolare nella possibilità che questa tipologia di vini possa essere una risposta efficace al cambiamento climatico, arrivando a dare vini che potrebbero diventare rappresentativi dell’area. Riverland è una regione del sud dell’Australia di poco meno di 10 mila km quadrati, lungo il fiume Murray. A detta di chi ci lavora, non è un ambiente facile per la viticoltura, e la recente guerra dei dazi con la Cina, che ha portato ad un crollo delle importazioni di vino australiano in quel Paese, ha reso il momento ancora più difficile. Nel tentativo di cercare una risposta alla duplice sfida del cambiamento climatico – che sta rendendo l’area sempre più calda e secca – e della crisi dell’export di vino, i produttori si guardano in giro, e indietro nel tempo.
Così ha fatto per esempio il Master of Wine britannico Tim Wildman, che proprio a Riverland produce “Astro Bunny” e “Piggy Pop”, due pet nat fatti con varie uve, tra cui lo Zibibbo. Nel 2016, mentre cercava fornitori di quest’uva si era imbattuto in qualcosa di curioso: in un recinto accanto ad un vigneto ha visti un vecchio essiccatoio, invaso da alberi e cespugli. “Ero lì – ha raccontato in seguito Wildman alla rivista Grapegrower & Winemaking – e ho pensato: stiamo raccogliendo lo Zibibbo e abbiamo questo essiccatoio abbandonato, e uno dei grandi vini dolci italiani è il passito, che è Zibibbo appassito all’aperto… e mi è venuta un’idea”. La struttura scoperta da Wildman era uno dei molti complessi di graticci sparsi per la regione; fino ad una trentina d’anni prima venivano usati per la produzione di uvetta sultanina, di cui Riverland era leader di mercato, ma tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000 la forte concorrenza di altri Paesi (come la Turchia) aveva decretato la fine di quella produzione. Dati i prezzi abbordabili della terra, le attività agricole si erano semplicemente spostate altrove, occupando altri terreni, mentre gli essiccatoi erano stati abbandonati: non valeva nemmeno la pena smontarli.
Di questo approfittò Wildman per fare il suo esperimento: stendere i grappoli di Zibibbo sui graticci dell’essiccatoio e lasciarli asciugare all’aria. Un po’ come fanno a Pantelleria. Dopo aver raccolto le uve le fece appassire sui graticci per due settimane, durante le quali i grappoli persero circa il 90% di acqua. Una volta portate in cantina e pigiate, ricavò appena 200 litri di mosto contro gli abituali 1500 che avrebbero reso le uve fresche, ma con un contenuto zuccherino impressionante: più di 300 grammi al litro. Sebbene inizialmente si sia inspirato ai vini fortificati in stile Porto dei suoi amici di Seppeltsfield della Barossa Valley, che in Australia furono pionieri in questa tipologia, Tim Wildman è consapevole che lo Zibibbo è qualcosa di molto diverso.
L’Australia non ha memoria di alcun vino paragonabile al suo passito, perchè negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso lo Zibibbo veniva spedito in Inghilterra come base per lo Sherry. Il produttore e Master of Wine trova questa sfida entusiasmante: fare con lo Zibibbo, un’uva poco amata e poco gradita, un vino di grande valore e di qualità superiore, utilizzando una tecnologia vetusta come dei graticci abbandonati. L’obiettivo è fare di questo passito il testimonial enologico della Riverland, come il “The Noble One” di De Bortoli lo è della Riverina.
Sarebbe paradossale se il riscatto e la riscossa sul mercato dei vini passiti arrivasse dall’Australia. Per un Paese come l’Italia, che in questa materia non ha nulla da invidiare e, anzi, molto da insegnare, suonerebbe come una vera e propria beffa.