Il nostro camper Gino ansima nel risalire le colline storiche di Conegliano Valdobbiadene, da poco riconosciute Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Lo ha compreso bene anche Gino di come mai da queste parti si parla di viticoltura eroica.
Noi non siamo certo l’Unesco ma abbiamo riconosciuto il valore viticolo e paesaggistico di questa zona molto prima che il Prosecco diventasse popolare in ogni angolo del pianeta.
Ma il nome Prosecco nell’azienda che stiamo andando a visitare non si può pronunciare e, lo scrivo subito per essere subito chiari, non hanno tutti i torti.
Incontro Loris Dall’Acqua – che insieme a Francesco Miotto e Paolo De Bortoli fondarono nel 1993 Col Vetoraz – in quello che non credo di esagerare se lo definisco una delle più belle terrazze del vino al mondo. Il panorama è di quelli veramente mozzafiato. Di quelli che è anche difficile descrivere tanto sono peculiari, una sorta di Cascate del Niagara dove al posto dell’acqua troviamo le vigne.
Se uno guarda uno scenario di questo genere e gli viene detto che da queste vigne si ottiene un vino di nome Prosecco che è lo stesso nome utilizzato anche in altre 9 province italiane (In Veneto e in Friuli) con condizioni geo-ambientali ben diverse da queste, penso che sia logico quanto meno avere alcune perplessità. Se poi questo qualcuno è un produttore in queste colline storiche allora oltre alle perplessità è anche legittima la tipica “rottura degli zebedei”.
Ma la storia vitivinicola del nostro Paese, purtroppo, è ricca di queste contraddizioni, di denominazioni che si sono allargate come un chewing gum nella bocca di un bambino, in barba alle reali differenze e vocazionalità.
Ancora una volta Loris Dall’Acqua ci ha tenuto a spiegare che purtroppo oggi la parola Prosecco è diventata generalizzante, con il rischio reale di banalizzare e cancellare la secolare storia e vocazione delle colline di Valdobbiadene e Conegliano.
Ma non vogliamo sfruttare questo prezioso spazio dedicato a Col Vetoraz per aizzare ancora polemiche, ci limitiamo a sottolineare che sulle pagine di Wine Meridian potrete trovare una serie notevole di articoli riguardante il tema della necessità di diversificare meglio l’universo Prosecco aldilà della semplice suddivisione in docg e doc.
In casa Col Vetoraz la questione l’hanno forse risolta nel modo più “semplice” ma anche coraggioso, chiamare le loro bollicine solo con l’appellativo “Valdobbiadene docg”.
E’ importante, però, sottolineare come la scelta di Col Vetoraz di rinunciare dal 2017 al nome Prosecco, non è “solo” dettata da motivazioni di marketing (che non ci sarebbe nulla di male) ma dal voler fortemente enfatizzare un modello di produzione che è stato da loro sintetizzato in uno specifico decalogo: forte identificazione territoriale; terra altamente vocata; microclima ideale; selezione accurata solo delle uve in grado di esprimere alta qualità; uve raccolte rigorosamente a mano; selezione per zonazione per vinificare separatamente le uve di ogni vigneto; creazione di grandi cuvée; vini senza collaggio (nessun trattamento, nemmeno chiarificante); obiettivo piacevolezza (equilibrio, armonia, eleganza); produzione solo Docg (Valdobbiadene e Cartizze).
Ci viene da dire, anche dopo aver degustato i vini di Col Vetoraz e aver ascoltato dal bravo Loris Dall’Acqua, la loro filosofia produttiva, che quest’ultimo punto del decalogo forse poteva essere semplicemente sottinteso.
Una filosofia che è stato il faro che ha illuminato il percorso di questa azienda fin dall’inizio e testimoniato anche dai tanti riconoscimenti ottenuti come quello del 1998, con ben cinque Gran Medaglie d’oro al Consorso internazionale del Vinitaly come miglior spumante. Senza dimenticare che nel 2012 Col Vetoraz è la prima azienda della docg a produrre un extra brut (Extra Brut Ø) senza zuccheri residui.
Ma l’aspetto che più mi ha impressionato nella nostra visita a Col Vetoraz, nel nostro Italian Wine Tour, è stato il loro straordinario impegno nel dimostrare quali vertici qualitativi può raggiungere un vino come il Prosecco. E’ questa la sfida più importante vinta dall’azienda di Santo Stefano di Valdobbiadene, una vittoria che rappresenta un valore aggiunto per tutta la denominazione.
Mentre Gino riprende il sali scendi su queste colline stupefacenti, penso come aldilà dei disciplinari di produzione, della comunicazione consortile o meno, quello che riesce più di ogni altra cosa a fare capire il valore qualitativo di un territorio sono proprio le esperienze concrete delle aziende.
L’ho sempre immaginato ma mai come in questa visita a Col Vetoraz, dove la bollicine si chiamano “solo” Valdobbiadene, l’ho compreso definitivamente.