Il camper Gino si affaccia sulla strada “alta” del lato veronese del Lago di Garda. Bisogna stare attenti quando si guida in questo tipo di strade perché il paesaggio mozzafiato ti spingerebbe a distrarti notevolmente.

E’ quello stesso paesaggio che ha sicuramente fatto comprendere, ormai molti anni fa, la famiglia Zeni, che la propria fortuna l’avrebbe potuta costruire su due fattori chiave: il vino e il turismo.

Facile intuizione potrebbe affermare qualcuno: sei a Bardolino cos’altro dovresti fare? Eppure anche in quello che molti considerano uno degli angoli più belli e suggestivi del Lago di Garda non tutti i produttori sono stati in grado di seguire la strada aperta dalla famiglia Zeni.

Il Museo del vino degli Zeni, infatti, è molto di più di un “semplice” luogo con vecchie attrezzature vitienologiche, è un’attrazione turistica a tutti gli effetti ed è per questo che, se non fosse arrivato questo maledetto Covid-19, anche quest’anno avrebbe attratto i suoi consueti 100.000 visitatori.

Un numero pazzesco, credeteci, che è comparabile finalmente ai dati di accoglienza di aziende collocate nei territori enoturistici più evoluti al mondo (Napa Valley negli Usa, la Stellenbosh in Sudafrica, la Barossa Valley in Australia o qualche maison prestigiosa nella mitica Champagne).

Con la sua straordinaria capacità d’accoglienza Zeni 1870 testimonia con i fatti e non con le chiacchiere che l’enoturismo in Italia potrebbe essere realmente un business.

Mi occupo del tema enoturismo praticamente dallo stesso tempo nel quale sono coinvolto nel vino, cioè circa trent’anni.

Penso di aver partecipato ad un centinaio di convegni, seminari, tavole rotonde su questo tema. Ho letto una miriade di analisi e relazioni sulle potenzialità di sviluppo dell’enoturismo nel nostro Paese.

Per decenni si è concordato che questo specifico comparto nel nostro Paese fosse ancora poco sfruttato (fino a pochi anni fa si diceva non più del 20%).

Oggi, emergenza Coronavirus a parte, la situazione sembra migliorata ma la strada da fare è ancora lunghissima a mio parere.

E servono esempi virtuosi come quello della famiglia Zeni che ha fatto capire chiaramente che l’enoturismo non è un possibile ambito “collaterale” della produzione vitivinicola ma un’attività a sé stante, con regole precise e codici di comportamento ben diversi dal winebusiness.

Ce lo ha spiegato perfettamente Elena Zeni, titolare dell’azienda insieme ai fratelli Fausto e Federica. 

“Nel nostro Museo del vino e più in generale nella nostra attività di accoglienza – ci ha spiegato – sono oggi impegnate una decina di persone”.

Esatto, dieci persone, non solo il titolare che deve districarsi tra i lavori in vigna, quelli in cantina e alla sera i compiti dell’amministrazione.

Purtroppo in molte aziende italiane si pensa di fare attività enoturistica profittevole solo con la buona volontà.

Finito il capitolo “enoturistico”, è opportuno sottolineare che Zeni 1870 è un’eccellente casa vinicola.

Ho avuto la fortuna di conoscere il papà dei tre fratelli Zeni, Gaetano, che tutti chiamavamo Nino, scomparso purtroppo una decina di anni fa. Nino, oltre ad essere stato il geniale fautore della nascita del Museo del vino, è stato tra i primi produttori di vino veronesi a capire che si poteva coniugare l’eccellenza vitivinicola al successo sul mercato.

E’ stato tra i primi pertanto, un altro è stato sicuramente Sergio Zenato, a realizzare vini di ottima qualità e al tempo stesso con grande appeal commerciale.

Uscendo dalle logiche di estrema nicchia, ma dimostrando che si possono ottenere vini qualitativamente importanti anche su volumi interessanti.

Un esempio su tutti il Cruino, una Corvina Grossa al 100%, un vino di straordinaria modernità, un mix eccellente di potenza gustativa e di bevibilità.

Ma tutta la produzione Zeni è orientata in maniera intelligente al mercato e oggi l’enologo di famiglia Fausto è riuscito a fare evolvere ulteriormente i profili qualitativi del portfolio produttivo dell’azienda, senza trascurare anche importanti progetti innovativi.

E’ il caso del Bardolino Chiaretto in Anfora, ottenuto attraverso il travaso del vino in anfora di terracotta dopo la fermentazione, con le proprie fecce fini (lieviti di fermentazione) e lasciato in affinamento, nella splendida bottaia aziendale a temperatura controllata, per un anno.

Noi l’abbiamo assaggiato direttamente dall’anfora e credeteci ci ha letteralmente conquistati ma ne scriveremo con una recensione a parte.

Salutiamo Elena, che in tanti anni ho incontrato in ogni angolo del mondo, in particolare in Asia dove da tempo è di casa,  con la convinzione che torneremo presto a trovarla, quando questa pandemia ci lascerà in pace e farà tornare ancora numerosi i turisti e gli appassionati nel suo Museo del vino.