Il digitale ci salverà, da tutto. E’ quello che emerge da un paio di mesi a questa parte in tutti gli articoli, nei webinar, nelle call di lavoro ma anche nei colloqui tra amici.
Non si è in grado di organizzare fiere “tradizionali”? Non ti preoccupare le faremo sulle piattaforme digitali. Non si possono incontrare importatori, buyer nei loro uffici? Non farti prendere dall’ansia, puoi confrontarti con loro in un webinar costruito appositamente.
Il distanziamento sociale proseguirà per molti anni e il mondo non sarà più come prima? Tranquillo con gli strumenti digitali non avremo più bisogno di abbracciarci, di incontrarci fisicamente.
Insomma, se ci fossero strumenti digitali con poteri “biologici”, probabilmente penseremmo di avere risolto anche il problema della riproduzione.
Ma quanti poteri e responsabilità stiamo mettendo nelle “mani” di questo benedetto universo digitale?
Dobbiamo riflettere bene su questa “deriva digitale” perché abbiamo la sensazione che troppo spesso si cada in visioni demagogiche che evidenziano pericolose illusioni.
E questo non significa che non siamo coscienti dell’importanza del digitale all’interno delle nostre imprese, ma lo eravamo anche prima dell’emergenza Covid-19 e la dice lunga che “solo” questa emergenza planetaria ci abbia fatto capire quanto ritardo abbiamo accumulato sul fronte dell’innovazione digitale anche del nostro amato comparto vitivinicolo.
Considerare quindi oggi il digitale la risposta a qualsiasi problematica e fabbisogno non solo è ingenuo ma può anche risultare pericoloso.
In queste settimane, infatti, stiamo leggendo un mare di possibili strategie per andare oltre Covid-19 e tutte mettono al centro gli strumenti digitali. Nulla di sbagliato ma ancora una volta abbiamo la sensazione che gli strumenti prevalgano sui contenuti, sulle idee, sulle competenze reali dei manager.
Diventare dei draghi delle dirette Instagram o dei virtuosi youtuber non necessariamente ci garantisce di essere ottimi comunicatori delle aziende del vino.
Se, infatti, ancora una volta non siamo in grado di costruire in maniera adeguata i contenuti identitari della nostra azienda, i valori delle nostre produzioni, le peculiarità dei nostri territori, le caratteristiche dei mercati che vogliamo intercettare, eccetera, eccetera, temiamo che non ci sia digitale che tenga per renderci competitivi.
Il nostro settore, lo abbiamo scritto più volte anche in questo duro periodo di emergenza, da tempo vive la necessità di rinnovarsi, di evolversi sotto il profilo imprenditoriale e manageriale e pensare che l’unica innovazione sia quella digitale è, a nostro parere, sbagliato e pericoloso.
Non ci meraviglia quindi oggi assistere alla rincorsa alla digitalizzazione delle nostre imprese ma non ci si può fermare solo a questo.
Illudersi che la soluzione a tutti i limiti comunicativi del nostro sistema (e questo valeva anche prima del Coronavirus) sia quella di organizzare in “quattro e quattr’otto” una diretta facebook o un tasting online è veramente limitativo.
Certo, molti diranno, questo lo sappiamo benissimo. Ma in realtà già oggi ascoltiamo decine di aziende al giorno che si sentono rassicurate dall’aver avuto magari un centinaio di iscritti al loro ultimo webinar o tasting.
Addirittura stiamo assistendo a tasting online “senza il vino”.
E questo lo consideriamo veramente un “digital delirio” che ci sta portando a pensare che il nostro mondo del vino possa sopravvivere non solo al distanziamento sociale ma anche, addirittura, alla presenza stessa del vino.
Se fino a ieri tutti concordavamo sull’importanza delle relazioni nel mondo del vino, sulla capacità dei manager di costruire rapporti umani diretti, addirittura amicali con il trade, oggi pensiamo di poter considerare esaurito questo fabbisogno?
Se fino a ieri consideravamo il vino uno dei migliori strumenti di relazioni sociali, non certo a distanza, pensiamo che sia superata questa concezione?
La capacità dell’uomo di adattarsi è fondamentale, ce lo ha insegnato bene Darwin, ma attenzione a non rimuovere la realtà delle cose.