Ogni volta che ci vengono dubbi sulla forza del nostro sistema vitivinicolo dovremmo salire in macchina, noi l’abbiamo fatto con il nostro camper Gino, e scegliere qualche regione vitivinicola a caso, senza rifletterci molto, e andarla a visitare.
Abbiamo già attraversato Friuli, Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Umbria e Abruzzo, percorso circa 2.500 km in gran parte tra le vigne di queste regioni, e siamo sempre più consapevoli che le nostre terre del vino hanno potenzialità straordinarie ma per la maggior parte ancora inespresse.
Sì, ne siamo convinti, e non vorremmo che questo maledetto Covid-19 diventasse l’alibi ideale per non provare ancora una volta a non sfruttarle al meglio.
Siamo partiti per raccogliere le preoccupazioni di produttori e manager del vino, in realtà stiamo raccogliendo fiducia e al tempo stesso una percezione, non sempre piacevole, che il nostro sistema vino continua a viaggiare a velocità troppo diversificate.
Cercando di dare una gerarchia ai fattori “potenzialmente” più importanti per il nostro settore vitieneologico, al primo posto non possiamo non mettere l’incredibile vocazionalità qualitativa delle nostre regioni produttive.
Ogni tanto pensiamo che sia una frase “retorica”, addirittura esagerata, ma invece la realtà è che il nostro Paese è stato concepito per realizzare vini di alta qualità e personalità. Ognuno è libero di pensare chi è stato il progettista, ma quello che tutti dobbiamo riconoscere è che questa vocazione all’alta qualità è diffusa praticamente ovunque nel nostro Paese.
E questo tuttoggi è paradossalmente poco conosciuto e comunicato e lo testimonia tristemente il numero ancora ridotto di denominazioni che hanno conseguito una corretta reputazione e notorietà.
Potremmo fare un mare di esempi che stiamo raccogliendo anche in questo viaggio, come la valle di Predappio o i Colli Piacentini, in quell’Emilia-Romagna tutt’oggi in qualche modo ancora considerata una terra “marginale” nel panorama delle regioni vitivinicole di qualità. O la valle del Metauro, regno del Bianchello, nell’entroterra pesarese, un’altro territorio di bellezza paesaggistica e vocazione vitivinicola straordinarie. E che dire dell’Abruzzo che abbiamo attraversato “scollinando” almeno una cinquantina di volte e trovando altrettanti diversi paesaggi vitati compresi tra montagne (vere) e il mare. Ci limitiamo all’entroterra della costa diventata famosa grazie a quei miracoli dell’uomo, i Trabocchi, palafitte che sembrano sospese sul filo dell’acqua, così fragili e così resistenti al tempo stesso. Risalire da questo lembo di mare Adriatico verso la montagna significa attraversare uno dei territori vitati più suggestivi del nostro Paese.
Se la vocazione alla qualità dei nostri territori la dobbiamo mettere al primo posto in questa classifica dei valori del nostro settore vitivinicolo, subito dopo viene la capacità e l’intraprendenza delle nostre aziende.
Negare che la gran parte delle aziende vitivinicole italiane abbia fatto in questi ultimi trent’anni passi da gigante sarebbe grave.
Dobbiamo però porci la domanda, e noi ce la stiamo ponendo quotidianamente anche in questo nostro Tour: “Come mai nonostante questa grande capacità delle nostre imprese molte delle nostre denominazioni gravitano in uno stato ancora deficitario, incapaci di sfruttare al meglio le grandi potenzialità che possiedono?”.
Le risposte probabilmente sono più d’una, ma noi riteniamo ve ne sia una sopra le altre: individualismo.
Molte delle storie che stiamo raccogliendo, seppur straordinarie, coraggiose, che evidenziano spesso anche grande competenza imprenditoriale, manifestano quasi sempre una lacuna: la scarsa fiducia nei confronti del territorio nel suo complesso.
“Noi ci impegnano, facciamo di tutto per esaltare le peculiarità della nostra terra, dei nostri vitigni, della nostra denominazioni, certo lo facessero anche gli altri sarebbe tutto più facile”. Questo, in estrema sintesi, il pensiero che affiora ancora oggi con troppo frequenza.
Ci troviamo quasi quotidianamente noi a spiegare ai nostri interlocutori la forza dei loro territori, di quanto attraverso una maggiore collaborazione anche con i propri “competitor” della denominazione potrebbero capitalizzare al meglio tutte le loro potenzialità.
Ovviamente riceviamo sempre consensi a questo nostro “banale” suggerimento ma poi temiamo che questo rimanga la cosiddetta “lettera morta”.
Oggi, però, dopo due settimane accompagnati da Gino nella nostra bella Italia del vino, vogliamo pensare che le cose stanno cambiando.
Che proprio questa crisi assurda, ancora oggi incomprensibile per tanti aspetti, tra le tante negatività che ci ha portato, ci lascerà anche qualche regalo, ne siamo convinti.
E il regalo più prezioso che potrebbe fare al vino italiano è di renderlo più unito, più consapevole della propria forza ma soprattutto più disponibile a condividere gli sforzi, a remare insieme, a fare rete.
No, non è retorica, non sono illusioni, noi non ci abbiamo mai creduto come oggi.