Il camper Gino sembra amare particolarmente la Valpolicella. 

Ho conosciuto Tenuta Sant’Antonio a circa metà degli anni ’90 e fu un amore a prima vista. 

Per essere onesto il mio fu un amore “allargato”, dove galeotta fu la Val di Mezzane. Non me ne abbiano a male le altre valli che compongono la straordinaria Valpolicella sia nella parte “Classica” che quella ad est, ma per me questa Valle ha un qualcosa che la rende unica, grazie anche ad una mano più “leggera” dell’uomo che qui fortunatamente ha compiuto meno scempi rispetto ad altre zone.

Fui chiamato ormai quasi 25 anni fa da alcuni produttori di questa vallata, compresa appunto Tenuta Sant’Antonio, a dare un contributo per aumentare la notorietà di questa parte della denominazione che all’epoca, in maniera alquanto dispregiativa, veniva definita la “Valpolicella allargata”.

In effetti l’allargamento della denominazione Valpolicella rimane tra le modifiche di disciplinare più fortemente dibattuto, se non addirittura guerreggiato nella storia delle doc italiane. Per chi ne avesse voglia consiglio vivamente di andarsi a leggere gli articoli del compianto Zeffiro Bocci.

Insomma in quegli anni venni coinvolto, insieme alla collega ed amica, Maria Teresa Ferrari, a costituire l’Associazione Val di Mezzane.

L’obiettivo era chiaro ma non certo semplice in quegli anni: far capire che in Val di Mezzane vi era una vocazionalità straordinaria per poter ottenere vini d’alta qualità e anche oli extravergine di pregio, non a caso uno dei fautori dell’Associazione fu anche Daniele Salvagno, il dinamico titolare di Redoro, un brand già allora ben noto nel panorama della produzione di extravergine di qualità.

Mi piace ricordare che oltre a Tenuta Sant’Antonio, della neonata associazione facevano parte anche Corte Sant’Alda, Roccolo Grassi, Villa Erbice, Provolo, aziende che proprio in quegli anni stavano facendo percepire il livello qualitativo delle loro produzioni ma anche la vocazionalità di questo territorio.

Conobbi i quattro fratelli Castagnedi nella loro vecchia casa a San Zeno di Colognola ai Colli.

Ricordo perfettamente il nostro incontro nel salotto, quello che nelle case di una volta si utilizzava solo nelle occasioni speciali.

C’erano tutti, Armando, Tiziano, Paolo e un allora giovanissimo Massimo.

Il loro Amarone Campo dei Gigli proprio in quell’anno aveva conquistato il prestigioso riconoscimento dei “Tre Bicchieri” del Gambero Rosso.

Sembravano quasi increduli, assolutamente emozionati, coscienti che la loro vita professionale, e non solo, da quel momento in poi sarebbe cambiata.

Ed è cambiata certamente. Li ho seguiti sempre in questi venticinque anni, talvolta da vicino, altre volte da lontano. Ma ho sempre compreso e apprezzato la loro forza di andare avanti, il coraggio anche di cambiare quando era ed è necessario. Ma soprattutto ho sempre riconosciuto in loro la dote più importante per un’azienda famigliare: andare d’accordo.

Pur con caratteri completamente diversi, per certi aspetti anche antitetici tra alcuni di loro, i fratelli Castagnedi hanno sempre compreso un aspetto fondamentale: la forza della nostra azienda è nello stare uniti, nell’essere complementari.

Una caratteristica che troppo spesso viene definita ovvia se non addirittura banale, ma senza questa “banalità”, le aziende famigliari falliscono o comunque non riescono a conseguire grandi risultati.

E se Tenuta Sant’Antonio oggi, dopo quelle prime bottiglie realizzate nel 1995 è diventata un importante protagonista nel panorama della vitivinicoltura di qualità italiana lo deve, in particolare, a mio parere, proprio nell’essere stata una famiglia unita.

Il collante è stato sicuramente il papà Antonio, scomparso purtroppo lo scorso anno. Un uomo schivo ma che ha fatto comunque sempre sentire la sua presenza.

“Quando abbiamo deciso di passare dalle damigiane alle bottiglie – mi raccontò Armando proprio nel nostro primo incontro – mio papà era preoccupato ma al tempo stesso ci ha spinto a farlo purché rimanessimo una famiglia unita, con tutti i fratelli coinvolti”.

All’epoca sembrava “facile” quell’unione. Ma la stessa condivisione è rimasta con l’accrescere del successo, dei numeri dell’azienda.

E così quando Gino è salito verso San Briccio e mi sono trovato di fronte la splendida Tenuta illuminata dal sole, il mio cuore ha riso felice.

Ad aspettarci c’erano tutti, ancora insieme come sempre. Armando, Tiziano, Paolo e Massimo.

Questa volta a raccontarci un’importante novità, l’ingresso in azienda di Mattia, figlio di Paolo, diciottenne appena diplomato alla Scuola di enologia di Conegliano. 

E quasi più felici di questo nuovo ingresso erano proprio i fratelli di Paolo.

“È bravo, si impegna e soprattutto è felice di lavorare per l’azienda. Per noi questa è una cosa bellissima”, mi hanno detto raggianti i fratelli Castagnedi.

Nei loro occhi ho letto due cose: una gioia vera, autentica e la consapevolezza che la forza della famiglia potrà proseguire anche dopo di loro.