La sostenibilità come possibile futuro “best selling point” per il vino neozelandese. Questo è il quesito da cui è partito il webinar promosso dal New Zealand Winegrowers, un interessante dibattito tra esperti come i Masters of Wine John Szabo e Stephen Wong e i Master Sommelier David Keck e Ronan Sayburn

Per la puntata finale della serie di webinar promossa dall’ente New Zealand Winegrowers un gruppo di esperti guidati dal master sommelier Stephen Wong, ha esplorato il ruolo dei vini biologici, biodinamici, sostenibili e naturali nel futuro del settore. La Nuova Zelanda già riconosciuta dai consumatori mondiali come terra “green”, non è sola in questa corsa, ma accompagnata, secondo i membri del panel, da Paesi virtuosi come Cile e Spagna. 

Durante il seminario dal titolo “Vino biologico – sfatare i miti e abbracciare il futuro” gli esperti hanno provato a dare innanzitutto una definizione alle categorie di vini biologici, biodinamici, sostenibili e naturali, sottolineando quanto ciò possa essere più complesso di quanto non sembri. Secondo il noto master sommelier canadese John Szabo la “sostenibilità” dovrebbe diventare la regola, anziché essere un’eccezione in etichetta. Gli ha fatto eco il master sommelier David Keck, che attualmente sta convertendo il suo vigneto nel Vermont, negli Stati Uniti, ad una conduzione biologica, che invece teme che questa idea, seppur filosoficamente allettante, possa costituire un pericolo. Il pericolo è che in questo modo venga meno la consapevolezza nel consumatore di aver fatto una scelta precisa. “Se la sostenibilità diventasse la norma e non venisse segnalata più sull’etichetta, potrebbe perdere il suo appeal sul consumatore” ha dichiarato Keck. 

Il dibattito si è poi spostato sulla necessità di ragionare a tutto tondo, includendo non solo la sostenibilità ambientale ma anche la sostenibilità finanziaria per garantire la sopravvivenza delle aziende e l’importanza delle persone all’interno di tali imprese, anche attraverso salari, alloggio, istruzione e i pasti sostenibili. 

Stephen Wong ha evidenziato come i viticoltori neozelandesi siano virtuosi in questo senso, avendo istituito nel 1994 la Sustainable Winegrowing New Zealand (SWNZ), il primo programma nazionale di sostenibilità del mondo, che ora copre il 96% della superficie vitata del paese. SWNZ rispecchia sei degli obiettivi di sviluppo della sostenibilità delle Nazioni Unite: acqua, rifiuto, parassiti e malattie, suolo, cambiamento climatico e persone. La Nuova Zelanda è sicuramente una nazione virtuosa in tal senso. Ha già 73 vigneti e 111 cantine che sono state certificate come biologiche, circa il 10% del totale.

Infine si è toccato il tema dei vini naturali. Sebbene tutti e quattro i Master of Wine abbiano concordato che il vino naturale è molto più difficile da definire, hanno ammesso che dalla Francia sta arrivando un tentativo di codificazione delle categoria. Wong ha sottolineato che il vino naturale è iniziato come una ribellione contro le rigide regole di produzione in molti Paesi europei. Al contrario in Nuova Zelanda questa categoria ha seguito un’altra rotta: quando le aziende vinicole sono entrate nella seconda o terza generazione di produttori, dunque con idee nuove e un taglio più contemporaneo.

Importante sottolineare come, secondo il Master of Wine, la percezione del consumatore verso i vini naturali cambia a seconda dell’età: mentre gli over 30 che hanno già familiarità con il buon vino possono consentire solo un piccolo numero di “difetti” nel vino naturale, molti consumatori sotto i 30 anni cercano attivamente quegli stessi “difetti” come sapori che vogliono. Tendenza che è stata sicuramente spinta da una produzione sempre più artigianale e dalle “sour beer”, birre che si caratterizzano per una certa componente acidula dal fascino più selvaggio. 

Saranno dunque questi nuovi filoni che corrono lungo il tracciato della sostenibilità il futuro “selling point” della Nuova Zelanda?