La Cina continua ad essere un mercato di estrema importanza per il food & beverage, e oggi appare tra le aree che stanno ripartendo dopo il duro impatto della pandemia.
Ma si tratta di un Paese che per poter essere approcciato deve essere prima meglio conosciuto.
Prima di tutto è importante riconoscere il tipo di consumatore, che, nella fattispecie della Cina, è un vero appassionato del digitale. Non deve sorprendere, infatti, che il 95% della popolazione cinese disponga di uno smartphone e che la Cina risulti il paese più connesso al mondo. Queste le parole di Andrea Fenn, CEO di Firework, esperto di Cina e digitale che si occupa ormai da decenni di studiare e ricercare il variegato sistema a sostegno di questa tendenza. La motivazione, spiega Andrea Fenn è semplice: fino al 2005 in Cina non esisteva un vero e proprio concetto di retail marketing e si contavano soltanto 18mtq di zone commerciali ogni mille persone; basti pensare che negli Stati Uniti ce ne erano 1000mtq ogni mille persone.
Questa difficoltà ha spinto i consumatori a superare i canali tradizionali e a servirsi dei canali digitali che risultavano più accessibili e soprattutto, più variegati di quanto non fossero per motivi di capienza gli store fisici. Va notato, inoltre, che il canale digitale per i cinesi rappresenta sempre e comunque un terreno di incontro e informazione fortemente svincolato dalle restrizioni politiche e quindi altrettanto dinamico e interattivo. Questa pratica ha addirittura portato il consumatore a creare una sorta di aureola attorno a tutto quanto ruotasse sul digitale, tanto che è stato stimato che un consumatore nel 45% dei casi si fidi ciecamente delle raccomandazioni raccolte online circa un prodotto piuttosto che di quelle ricevute da una persona fisica.
Anche il Governo è fortemente consapevole di questo trend e infatti ha deciso di non ostacolarlo ma di indirizzarlo.
Un valido supporto per immettere prodotti internazionali nel mercato cinese, ad esempio, è dato dalla strategia del cross-border e-commerce. Si tratta di un metodo di vendita ed esportazione di prodotti che consente l’accesso al mercato cinese senza necessariamente avere una presenza fisica o un’entità legale in Cina. Questo tipo di commercio si serve delle grandi piattaforme cinesi che sostengono questo servizio ad un sistema di tassazione agevolato. In tal modo l’acquirente paga un’unica tassa che include i costi dell’importazione e la VAT, l’azienda che esporta, invece, è esente dalla tassa di importazione e soprattutto può vendere i propri prodotti senza che essi siano soggetti a particolari politiche di etichetta, riesami, packaging e quant’altro, ma gli basta fornire valide certificazioni che attestino l’autenticità e la qualità dei prodotti.
In tal modo il vantaggio è duplice: da un lato, l’azienda che esporta ha un regime agevolato sulle tassazioni e beneficia di un commercio non soggetto a dogana, dall’altro l’acquirente acquista il prodotto ad un prezzo inferiore. Questa, quindi, potrebbe rappresentare una prima valida opportunità per il settore f&b italiano in Cina.
A seguire, una strategia di uso molto comune in Cina ma poco esplorata in Italia: le vendite in live-streaming. Si tratta di un concetto non lontano dal più rinomato brand story-telling: i contenuti sono infatti gli stessi, ciò che varia è la forma.
Per incontrare il gusto del consumatore cinese, quindi, tutte le piattaforme offrono la possibilità di raccontare storie, di comunicare il proprio prodotto attraverso una vendita in diretta. Solitamente questa operazione è affidata al protagonista indiscusso del live-streaming in Cina: l’influencer.
Non deve sorprendere, quindi, che influencer del calibro di Li Jiaqi, conosciuto in Cina come “il re dei rossetti” siano dei veri e propri colossi nel mondo del business; basti pensare che lui è riuscito a vendere la bellezza di 15.000 rossetti in soli cinque minuti.
Ciò ci lascia comprendere che il consumatore cinese ami questo tipo di esperienza di vendita tutta improntata al digitale.
Terza e ultima strategia suggerita da Andrea Fenn è un ulteriore utilizzo della piattaforma WeChat attraverso specifici miniprogram che consentono alle aziende di fare sistema per una particolare categoria di prodotti, ad esempio il vino, in modo tale da rendere i costi del servizio più tollerabili perché spalmati tra le varie aziende partner. È il caso di un miniprogram sviluppato in collaborazione con Vinitaly che univa le cantine italiane permettendo a ciascuna di esse di interfacciarsi con il consumatore cinese.
Per sfruttare al massimo lo strumento del digitale, però, è necessario conoscere adeguatamente tutte le funzioni dei social media cinesi che sono del tutto differenti dai social-media del panorama occidentale.