Divieto di pubblicizzare alcolici, pesanti tasse e una scarsa cultura del vino non impediscono la diffusione dei prodotti Made in Italy in terre lontane come l’India. Negli ultimi anni, l’India, uno dei cosiddetti Paesi BRIC,  una delle economie emergenti, con tassi di crescita attorno al 4-5%, rispetto agli standard europei percentuali incoraggianti, ma che per le esigenze di questo Paese sono considerate deludenti (fonte Il mercato del vino.it). Anche a livello di consumo pro-capite, uno dei Paesi con il più basso indice di consumo, 0,009 litri all’anno, tenendo in considerazione che l’età legale per bere va dai 18 ai 25 anni a seconda dello Stato e che circa met della popolazione indiana ha meno di 25 anni. Allora perchè affacciarsi su questo mercato, di così difficile accesso? Ci arriva un incoraggiamento che sembra aprire a sviluppi futuri dalla comparsa di una nuova middle class, più vicina allo stile di vita europeo e nordamericano, la quale si sta aprendo al consumo di vino.

Vediamo assieme prima le tante contraddizioni del Paese. L’India è un Paese con grandi problemi sociali, anche se lo sviluppo economico sta modificando anche tutto il sistema di valori tradizionali. Secondo recenti analisi, negli ultimi anni lo stile di vita indiano si sta avvicinando sempre di più a quello occidentale, fenomeno dovuto ad un maggiore spostamento della popolazione verso l’Europa e gli Stati Uniti per motivi di lavoro o studio o semplicemente per visitare altri Paesi. Questo nuovo trend si scontra con un caposaldo della cultura indiana: bere vino è sempre stato e rimane un tabù. Per questa ragione, la cultura del vino è estranea alla tradizione di questa terra, e sappiamo bene che se manca la cultura necessaria per riconoscere il vino è necessario introdurla, ma ci vuole molto tempo perchè questa penetri negli usi e costumi locali.

Negli ultimi anni la classe media indiana, soprattutto i giovani tra i 25 e i 34 anni, si è aperta in maniera significativa a questa bevanda alcolica, tanto che il vino comincia ad essere alla moda e in particolare, si è diffusa l’idea che il consumo moderato abbia effetti benefici sulla salute. Al riguardo sono stati effettuati studi medici che dimostrano come l’assunzione di vino possa essere un valido alleato nel trattare problemi vascolari, al contrario dei superalcolici che sono dannosi, e l’India è un Paese in cui il consumo di superalcolici è molto alto. In passato, l’immagine tipica della persona di successo prevedeva un bicchiere di scotch, ora, invece, il simbolo è diventato il bicchiere di vino, soprattutto tra le signore della middle class, in quanto restituisce un’immagine più raffinata ed elegante.

Negli ultimi cinque anni il mercato del vino è aumentato del 60%, importando principalmente dalla Francia (39% delle quote in valore) e, a seguire, dall’Australia (circa 15%) e dall’Italia (circa 12%).
Nonostante l’economia indiana sia in crescita, esistono ancora delle barriere che frenano lo sviluppo e il consolidamento dei prodotti vinicoli. Il divieto della pubblicità audiovisiva degli alcolici è uno di questi ostacoli. Le aziende straniere che vogliono promuovere i propri prodotti hanno trovato metodi alternativi, meno efficaci, come le pubblicità su cartelloni e insegne, pubblicità diretta nei punti vendita oppure organizzare eventi, degustazioni e wine dinner.

Forse il problema principale dell’import dei vini è la tassazione. Il dazio è troppo elevato, pari al 150% sul prezzo originale, a cui bisogna aggiungere le spese di spedizione e le accise. È chiaro che il prezzo finale sarà triplicato se non quintuplicato: la fascia di prezzo va dai 17 ai 37 Euro a bottiglia, mentre nella ristorazione di lusso i prezzi partono dai 35 Euro per arrivare a 150 euro. È evidente come le tasse elevate siano un espediente del governo per supportare l’industria vinicola nazionale, in modo che possa crescere e riuscire ad affermarsi sui mercati internazionali.
Da tutte le considerazioni fatte fino ad ora si comprende come l’India rimanga un’incognita per i produttori che intendano lavorare in quel mercato, ma le premesse non sono del tutto scoraggianti nel lungo periodo. Possiamo definire questo Paese come una “grande promessa” del mercato del vino che non ha ancora esplicitato il suo potenziale. Riuscirà a farlo nei prossimi anni?