I dazi cinesi hanno colpito una serie di prodotti australiani: manzo, orzo, carbone, rame, cotone, frutti di mare, zucchero, legname e naturalmente vino. Tuttavia secondo alcuni esperti l’economia australiana è riuscita ad aggirare gli ostacoli imposti dai dazi iniziati nel 2020, grazie alla diversificazione ed allo sviluppo di mercati alternativi.
Si potrebbe dibattere approfonditamente di queste tesi ma una cosa è certa, ciò non è avvenuto per l’industria del vino, i numeri lo dimostrano. Tre anni dopo l’inizio dei dazi, le esportazioni di vino australiano sono diminuite di ben 975 milioni di dollari. Il crollo delle vendite in Cina, pari a 1,1 miliardi di dollari, è stato compensato solo in minima parte da un aumento delle esportazioni su altri mercati per 161 milioni di dollari.
Puntare su un solo mercato: perché?
L’industria del vino australiana ha senz’altro delle responsabilità per essersi esposta fortemente su un singolo mercato: la quota export destinata alla Cina è passata dal 12,2% di marzo 2014 al 39,9% di sei anni dopo. Ma questa è solo una parte della verità.
Alla fine del 2019, il mercato globale del vino imbottigliato valeva 25,8 miliardi di dollari ed era sostanzialmente stagnante, con un aumento dal 2014 di soli 355 milioni di dollari.
In questo periodo solo un mercato si è distinto per le sue dimensioni e la sua crescita esponenziale: la Cina. Mentre le importazioni cinesi sono aumentate di 826 milioni di dollari tra il 2014 e il 2019, gli altri mercati hanno subito un calo generale di 470 milioni di dollari.
Non sorprende quindi che sia stata la Cina a garantire l’85% della crescita delle esportazioni australiane in quel periodo. Lungi dall’essere avventati, i produttori di vino australiani hanno semplicemente seguito le opportunità del mercato. È l’ABC degli affari. Per le aziende più piccole e a conduzione familiare, il mercato cinese era davvero unico. Tra il marzo 2014 e il marzo 2020, il numero di esportatori di vino australiano che vendevano in Cina è passato da 900 a 2.347. A marzo 2023 ne sono rimasti solo 111.
Strategie di diversificazione: “roba da ricchi”
La strategia di diversificazione su più mercati e la capacità di gestione del rischio che questo processo comporta, è fattibile per una grande azienda come Treasury Wine Estates (TWE). Infatti TWE ha spostato parte del proprio export dalla Cina verso la Malesia, la Tailandia e il Vietnam, lanciando anche un vino di produzione cinese, “One by Penfolds”, a circa 50 dollari per bottiglia.
Ma queste mosse non saranno mai opzioni praticabili per i produttori con mezzi più modesti. Questi vivono (e muoiono) grazie alla possibilità di accedere al mercato cinese.
Un esempio emblematico è quello di Nikki Palun che ha iniziato a esportare vino in Cina nel 2014, raggiungendo un picco export di oltre due milioni di bottiglie all’anno (il 90% delle sue vendite totali).
Con i dazi, la sua attività di esportazione è “scomparsa” perché “nulla può sostituire la Cina in termini di volume”. A peggiorare questa situazione è la sensazione che i dazi non fossero inevitabili: “Il problema non è stata la Cina, ma la mancanza di capacità diplomatica del precedente governo australiano”.
“Parenti serpenti”
Lo stato attuale dell’industria vinicola australiana è disastroso nonostante i “brothers in arms” statunitensi avessero dichiarato che si sarebbero fatti avanti per dare una mano.
Quattro mesi dopo l’imposizione dei dazi cinesi sul vino, Kurt Campbell, diplomatico e uomo d’affari americano, nominato “coordinatore per l’Asia” della Casa Bianca, dichiarò che gli Stati Uniti non avrebbero lasciato l’Australia da sola sul campo.
Il Ministro del Commercio australiano Dan Tehan ne è stato chiaramente confortato, e qualche giorno dopo ha sottolineato: “Credo che tutti gli australiani dovrebbero essere rassicurati dal fatto che gli Stati Uniti ci copriranno le spalle”. Ma l’idea che i “valori occidentali condivisi” possano costituire una difesa collettiva per l’industria vinicola australiana si è rivelata effimera.
Confrontando i dati commerciali del 2022 con quelli del 2019 si evince che le importazioni statunitensi di vino imbottigliato australiano sono diminuite di 31 milioni di dollari, il calo più consistente di tutti i Paesi. Nel frattempo, le importazioni cinesi di vino imbottigliato statunitense sono aumentate di 11 milioni di dollari. Sarà un caso?
Dunque questa solidarietà e questo appoggio, basato sul concetto di “commercio amico” non si sono tradotti in fatti concreti ed i dazi, nonostante le avvisaglie di un possibile distensione con la Cina, continuano a rappresentare una sventura epocale per il settore vitivinicolo australiano.