Pensiamo a uno scenario ipotetico. Si avvicina la vendemmia. La cantina è in fibrillazione e negli uffici sta per iniziare una riunione vendite dedicata all’export dei vostri vini. Le impiegate si incrociano nel corridoio, la stager fa la posta alla fotocopiatrice perennemente occupata e il vostro PC ha appena snocciolato l’ennesima tranche di e-mail che, come sempre, richiedono la vostra immediata risposta. La riunione vi aggiunge stress allo stress perché ora la Proprietà chiede a voi, responsabili del personale, l’impossibile: sollevare il morale del “popolo” con il minimo della spesa, ovviamente. Il vostro pensiero corre alle parole Welfare o Worklife balance che avete già intercettato qua e là. Sì, sono quelle iniziative, magari bizzarre, che tentano di andare incontro alla qualità della vita dei dipendenti. I giornali riportano sempre più spesso -quasi come uno scoop- l’azienda che predispone il servizio lavanderia o quello del “maggiordomo aziendale”.
Preferisco parlare di work life balance piuttosto che di Welfare perchè quest’ultimo rimanda a un concetto paternalista, dove l’iniziativa è unidirezionale e dove spesso manca l’ascolto dei reali bisogni dei collaboratori. Cerchiamo ora di capire meglio che cosa realmente significa fare Work/family e personal life balance. Il solito inglesismo è quanto mai opportuno visto che, ancora una volta, sono proprio gli americani ad aver imboccato per primi questa strada. E’ proprio oltreoceano che sono fiorite le principali iniziative.
Il perimetro dell’intervento abbraccia tre grandi aree:
1) Quella che ha un impatto sull’organizzazione del lavoro (flessibilità degli orari e smart working);
2) Quella degli interventi rivolti a supportare i problemi della famiglia come il child care, elder care, etc;
3) Quella rivolta alla qualità della vita personale in senso stretto (supporti e agevolazioni per effettuare attività sportive e hobbies o per ridurre tempi e stress da piccola burocrazia come rifare il passaporto o cambiare le gomme alla propria auto).
Prima di considerare una per una le aree di intervento facciamo una riflessione sui benefici che si possono raggiungere.
Un primo traguardo è ridurre lo stress legato alla gestione della famiglia, perché è difficile, oh come è difficile, far quadrare le esigenze di tutti (bambini e anziani in testa). Una seconda opportunità è invece legata alla possibilità di guadagnare tempo, tempo “vero”. Alludo alla possibilità di concedervi qualche momento di vero dolce far niente o per fare quello che più vi piace. A pensarci bene quello che chiamiamo tempo libero è, in realtà, tempo “occupato” nel fare un sacco di cose che “si devono fare”. Per guadagnare tempo la flessibilità ottenuta con lo smart working sembra la soluzione perfetta. Lavorare ogni tanto da casa con il portatile ha molti vantaggi grazie a un fantastico rapporto costi/benefici. Tuttavia qualche volta tutto si ferma perché manca la volontà e/o una vera sensibilità da parte de i capi.
Atterrando sul pianeta famiglia molti di voi non hanno certo bisogno di esempi concreti. Avete presente il pupo che proprio mentre state per raggiungere il nido vuole solo voi e si rifiuta di farsi custodire dal nonno? Dai bambini agli anziani il passo è breve perché se il nonno è appena uscito dall’ospedale e non sarà mai più autosufficiente il vostro stress sale alle stelle. Da scherzare c’è ben poco fra baby sitter e badanti. E’ dura scoprire che, proprio appena è iniziata la riunione, una di queste due figure vi ha “mollato” definitivamente. La soluzione a volte non c’è, ma fare work/life non significa solo pensare all’asilo aziendale. Può essere molto utile (e costa molto meno) costruire una lista di back up per baby sitter e badanti suggerite e garantite dall’azienda (magari con l’aiuto di altri dipendenti che le hanno già utilizzate). Si possono mettere in piedi iniziative di successo come seminari o workshop in azienda con puericultori o gerontologi esperti.
Affrontando il tema del “Personal life” possiamo citare tante idee. Se le palestre interne all’azienda sono costose o considerate inopportune, si possono qualificare e presentare come in una guida turistica tutte le possibilità di svago e sport che sono ubicate in comode posizioni rispetto al luogo di lavoro. Realizzare o meno le solite convenzioni può non essere importante. Quello che conta è favorire la frequentazione delle strutture abbinando
al programma di work/life la flessibilità degli orari. Le pause di lavoro possono offrire, per chi lo desidera, corsi di fotografia, di orientamento a nuove pratiche sportive (es: il dipendente sub esperto che fornisce consigli e indicazioni per iniziare, etc). Altre iniziative possono abbracciare i problemi di burocrazia personale. Esistono già uffici che aiutano i dipendenti a rinnovare documenti, a riparare la porta di ingresso dopo un furto o ad organizzare la festa di compleanno di vostro figlio.
A questo punto una raccomandazione finale. Fate attenzione a non cadere in due grandi trappole: “la presunzione del benefattore” e “l’effetto sostituzione”. La prima insidia sta nella convinzione che quello che si fa in più per i propri dipendenti, non essendo dovuto, debba per forza di cose essere apprezzato. Nel secondo caso attenzione, perché non tutti gradiscono, per esempio, la palestra in ufficio perché costringe a rimanere comunque
immersi nei problemi del lavoro. La morale è lapidaria: fate delle analisi approfondite (quali/quantitative) dei bisogni, personalizzate le iniziative senza generalizzare e se possibile fate qualcosa per tutti. E’ stato ormai lanciato un sasso nello stagno. Le imprese hanno una nuova possibilità per motivare i collaboratori senza grossi investimenti. Dall’altra parte tutti cercano una merce sempre più rara: la qualità della vita. Pensiamoci bene! C’è un uovo modo di interpretare lo sviluppo sostenibile che questa volta si concentra sulla persona: il work/family and personal life balance!