Nel Wine Analytics Report di aprile, uno degli osservatori più autorevoli del mercato del vino negli Usa, viene riportata un’analisi molto interessante ed utile per capire l’impatto del Covid-19 sul più grande mercato del vino al mondo.
L’analisi parte dal presupposto che questa crisi causata dal virus Covid-19 rappresenta uno spartiacque (watershed) determinante anche sul mercato del vino negli Usa.
Anche negli Usa la crisi ha provocato, soprattutto nel mese di marzo, un’impennata delle vendite di vino che hanno consentito un po’ di sollievo alla filiera vitivinicola che sta affrontando enormi problematiche a causa delle ingenti perdite nel canale horeca.
Il report di Wine Analytics, pertanto, esamina il mercato del vino negli Usa con l’avvicinarsi della vendemmia 2020 in un’economia molto diversa rispetto a poche settimane fa e decisamente modificata anche rispetto alle previsioni di inizio anno.
La diffusione di Covid-19 e la dichiarazione di pandemia dell’Organizzazione mondiale della sanità l’11 marzo ha inferto anche negli Usa un colpo quasi mortale ai ristoranti e all’economia nel suo insieme. Secondo il gruppo NPD, le transazioni totali nei ristoranti nella settimana terminata il 22 marzo scorso sono diminuite del 36% rispetto all’anno precedente, spinte da un calo del 71% delle transazioni nei ristoranti a servizio completo. Molti ristoranti, a quel punto, pur rimanendo aperti grazie all’home delivery hanno visto accelerare le perdite, tanto che sempre l’NPD ha registrato un calo del 42% nella settimana terminata il 29 marzo scorso, e con le transazioni nei nei ristoranti a servizio completo in calo del 79%.
Dati confermati anche da Nielsen CGA, che ha registrato perdite nella ristorazione del 73% nella settimana terminata il 21 marzo e del 77% in quella conclusa il 28 marzo.
Nonostante alcuni Stati abbiamo concesso ai ristornati la possibilità di vendere anche il vino all’interno della loro attività di home delivery questa non è stata certo sufficiente a compensare il drastico calo delle vendite nell’on-premise che negli Usa, ricordiamo, sempre secondo i dati Nielsen CGA, nelle 52 settimane terminate il 25 gennaio scorso erano state di 18 miliardi di dollari.
Le vendite, quindi, nel canale moderno anche negli Usa sono state indispensabili per dare almeno un po’ di sollievo all’industria vitivinicola.
A questo riguardo, Danny Brager, vicepresidente senior di Nielsen, ha sottolineato che, in considerazione che il canale horeca negli Usa vale circa il 20% del volume di bevande alcoliche vendute, il rimanente 80% è nelle mani della grande distribuzione e pertanto ha osservato: “Facendo alcuni calcoli rapidi, alla luce delle perdite di quasi l’80% dell’horeca servirebbe un aumento di circa il 20% dell’off-premise per mantenere una situazione stabile delle vendite”.
Ma i dati attuali ci dicono che c’è ancora molto da recuperare. Nelle 52 settimane terminate il 21 marzo scorso, infatti, le vendite nella gdo negli Usa sono aumentate di 14,7 miliardi di dollari per un volume di 160,2 milioni di casse ma che rappresentano un aumento di sole 2,1 milioni di casse rispetto l’anno precedente. Un aumento, tra l’altro, interamente determinato dal solo mese di di marzo che ha visto una crescita delle vendite del 24% (1,3 miliardi di dollari per un volume di 14,5 milioni di casse) rispetto ad un anno fa.
I dati Nielsen, inoltre, evidenziano come i consumatori statunitensi che si stanno rifornendo di vino nella gdo stanno privilegiando vini da tavola, in particolare i bag in box e bottiglie nella fascia di prezzo tra 11-25 dollari. Non a caso nella prima settimana dalla dichiarazione della pandemia le vendite di vini da tavola sono aumentate del 66%, i bag in box del 53% e più del doppio nella settimana successiva. Durante le quattro settimane terminate il 21 marzo, il segmento ha guadagnato oltre il 50% del valore delle vendite. Anche i vini da tavola hanno mostrato una forte crescita, aumentando del 35% nello stesso periodo.
Secondo il report, i dati sulle vendite hanno indicato ciò che è stato definito il “pantry-stocking” cioè uno “stoccaggio di dispensa”: acquisti per il consumo futuro anziché per il godimento immediato. Non è quindi un caso che i consumatori negli Usa oggi stanno privilegiando i formati più grandi e i brand più economici rispetto al periodo precedente l’emergenza.
Tendenze che si sono evidenziate anche in Europa e in Australia, secondo Lulie Halstead, amministratore delegato di Wine Intelligence.
Una tendenza che secondo Brager potrebbe addirittura far presagire la fine del processo di premiumizzazione che era in atto ormai da tempo in quasi tutti i mercati del vino.
Difficile fare previsioni sul futuro anche se la maggior parte degli osservatori presi in esame da Wine Analytics prevede che le grandi vendite che hanno accompagnato le prime settimane della pandemia saranno quasi certamente più moderate.
Anche negli Usa si registra grande crescita delle vendite online che nella settimana terminata il 21 marzo scorso hanno evidenziato un aumento del 243% rispetto l’anno precedente con un numero di acquirenti che si è raddoppiato rispetto la media delle ultime 52 settimane.
“Ci sono alcuni primi segnali che le nostre abitudini di consumo saranno cambiate per sempre da Covid-19”, ha osservato un’analisi generale del comportamento dei consumatori di Nielsen. “Per alcuni consumatori questo potrebbe essere un comportamento totalmente nuovo, come ad esempio fare la spesa online per la prima volta.” Nielsen ha sottolineato che “Francia, Spagna e Australia, dove la penetrazione dello shopping online per prodotti alimentari è stata in precedenza inferiore, ora mostra anche aumenti considerevoli delle vendite al dettaglio online, un chiaro segno che lo shopping al dettaglio online sta iniziando a dare benefici che cambiano la vita ai consumatori.”
Ma nonostante le opportunità e la crescita del canale DtC (direct to consumer), le restrizioni prolungate alle attività e agli eventi sociali renderanno più difficile il recupero delle cantine. Mentre la pandemia può inizialmente accelerare l’adozione da parte dei consumatori di nuovi strumenti di acquisto, l’attuale interruzione sta causando danni enormi alle aziende. La ricerca di WineAmerica indica un calo del 63% delle vendite a marzo, con una media delle aziende che prevede una profonda flessione del 75% ad aprile. Il recupero di tali perdite non sarà facile.
“Se le aziende vinicole fossero in grado di riprendere le attività il 30 aprile, sarebbero mediamente necessarie 12 settimane (tre mesi), per tornare alle normali attività in termini di dipendenti, visitatori, vendite e altro”, è evidenziato in sintesi nell’indagine di WineAmerica.
Tuttavia, sono pochi quelli che ritengono sia possibile un ritorno alla normalità a maggio, considerando anche l’esperienza di Wuhan in Cina.
Ad esempio i funzionari della sanità pubblica in Canada hanno disposizioni in vigore fino alla fine di giugno e, in alcuni casi, a metà luglio. Nel frattempo, molti organizzatori di eventi hanno cancellato degustazioni, incontri e fiere programmate fino alla fine di agosto.
“Il business del vino – ha affermato Gary Mortensen, presidente di Stoller Wine Group – dipende fortemente dalle persone che si riuniscono: uscire per cena, partecipare a eventi, viaggiare, andare alle degustazione di vini e condividere questo piacere con amici e parenti”. “In questo momento – ha proseguito Mortensen – l’idea di qualcuno che tossisce in un ristorante affollato avrebbe lo stesso effetto di qualcuno che grida:” Bomba! “Ci vorrà un po ‘di tempo per cancellare questo stigma dalla nostra coscienza nazionale.”
La cultura del distanziamento sociale avrà quindi un ruolo di primo piano nella ripresa dell’attività della filiera vitivinicola e all’oggi è molto difficile capire quanto questa condizionerà concretamente il business del vino.
Per il momento, gli operatori Usa ritengono che questa emergenza comunque potrà in qualche misura influenzare positivamente gli acquisti di vini statunitensi e anche questa per noi non è una notizia bellissima.