Abbiamo intervistato Paolo Tiefenthaler, enologo di Casale del Giglio. 

Il successo nella ricerca e nella riscoperta dei vitigni autoctoni laziali è un vostro marchio di fabbrica, quali sono i valori che portate avanti in questo percorso?
La scelta dei vari vitigni internazionali e non, nasce da un progetto di sperimentazione nato nel 1985 con la messa a dimora di 57 varietà al fine di capire quali fossero quelle che meglio si adattavano a questo territorio: una operazione mai realizzata da nessuno in precedenza.
All’inizio, ho considerato una certa differenza fra varietà autoctone e varietà internazionali. Ben presto però, ho abbandonato questo modo di pensare e di interpretare la vigna considerando che ogni varietà ha una sua importanza, non per il nome del vitigno ma per la zona in cui nasce.
Da qui, mi sono concentrato solo ed esclusivamente sul Terroir dove la natura del suolo, il clima, la flora e la fauna ovvero l’intero ecosistema sono ben più caratterizzanti che non la singola varietà.
Pertanto non esiste autoctono ed internazionale ma esiste Agro Pontino e Costa Laziale con vini proiettati ad una lunga durata, mai iperconcentrati ma sempre molto sapidi ed eleganti.

Il clima mediterraneo e la vicinanza del mare che influenza hanno avuto sulla vostra produzione?
Geograficamente, ci troviamo in Centro Italia poco a sud di Roma verso la costa tirrenica con una forte influenza del clima mediterraneo e della macchia che ci circonda. L’Agro Pontino è un territorio del tutto particolare che presenta a livello di suolo tre macro aree:
la prima zona è quella più vicina alle montagne (Castelli Romani e Monti Lepini) di origine alluvionale con terreni vulcanici data la genesi delle montagne stesse.
La seconda è un terreno molto antico alle spalle del promontorio del Circeo che lo ha difeso dal mare. Un terreno molto scuro, ricco di minerali, molto profondo con una leggera prevalenza di argilla.
La terza zona è quella più adiacente alla costa con terreni sabbiosi limosi molto sciolti dove trova il suo terroir ottimale il Bellone, varietà estremamente sensibile alla presenza di acqua nel suolo.
L’altitudine va dai 50/60 ai 350/400 metri. Dal punto di vista climatico si risente la forte influenza della costa che, creando un ampio golfo dal Circeo ad Anzio, incanala una continua brezza marina talvolta anche di una certa entità che mantiene un ambiente poco umido e quindi poco soggetto a problematiche sanitarie delle uve.

Siete ambasciatori della valorizzazione del Lazio e delle sue produzioni autoctone. Quali possono essere le leve su cui puntare?
Le varietà autoctone del Lazio hanno radici profonde nella storia, purtroppo per troppo tempo trascurate. La forza di queste varietà e soprattutto di questo territorio, sta nella loro forte diversità. Si va dal Bellone che ha trovato nei terreni sabbiosi sul mare il suo ambiente ideale, fino al Cesanese che esprime il massimo del suo potenziale qualitativo fra i monti della zona di Olevano, Piglio e Affile. Questa forte biodiversità fra le varie zone dominate essenzialmente da due fattori, influenza del mare e vasta area vulcanica dei Castelli e dei Monti Lepini, contribuisce a dare una grande identità ai singoli vitigni.
Far conoscere i vini del Lazio non si limita al parlare di varietà autoctone ma anche, e come poche zone al mondo lo possono fare, a parlare di Storia.

Quali sono state le caratteristiche dell’annata 2019?
L’annata 2019 è stata caratterizzata da un forte ritardo della ripresa vegetativa, 10/12 giorni, e soprattutto da abbondanti piogge nel mese di maggio, che si sono rivelate un’ottima scorta idrica per il periodo successivo. Infatti, grazie all’ottimo equilibrio della vite, sia al momento della fioritura sia in fase di invaiatura, due momenti cruciali per avere un’ottima qualità, le uve sono arrivate a maturazione con viti ancora molto attive, grazie ad un perfetto equilibrio fra foglie e grappoli.
Il ritardo di maturazione di circa 10 giorni rispetto alla media stagionale ed un mese di settembre con assenza di piogge e temperature basse ha favorito una perfetta maturazione con uve molto sane ed allo stesso tempo integre.
Era dal 1999 che non si iniziava a settembre la vendemmia delle varietà bianche e precoci e a fine settembre/inizio ottobre di quelle rosse: una situazione ideale per avere vini che fanno dell’integrità e della durata il loro punto di forza.

Avete sviluppato una gamma molto ampia di prodotti (vini bianchi, rossi, rosati, grappe e olio extravergine) quali sono le ragioni di questa scelta
La presenza di molte varietà è collegata al Progetto Casale del Giglio con la messa a dimora di 57 varietà in un campo sperimentale all’interno dell’Azienda, al fine di capirne l’adattabilità a questo territorio. Ho sempre pensato che per tracciare una linea viticola importante in una zona dove non ci sono esempi significativi di viticoltura di qualità, un aspetto fondamentale fosse quello di provare e sviluppare le varietà che meglio si prestano alle caratteristiche pedoclimatiche della zona, indipendentemente dalle esigenze del mercato. Sarà una strada più duratura e soprattutto di maggior aiuto per capire ed interpretare un territorio. Da qualche anno, la mia attenzione va sempre più su un minor numero di vitigni che sicuramente sono quelli che riescono a valorizzare le specificità di questo territorio dove un clima particolarmente favorevole e senza eccessi contribuisce a dare vini di durata, eleganza e grande sapidità.

Simbiosi tra territorio e vitigno: per Casale del Giglio il termine “terroir” cosa significa?
Il Terroir è la perfetta simbiosi fra vitigno / suolo / clima / uomo / tradizione, veri cardini per la produzione di un grande vino.

Ci può parlare del progetto sperimentale che state sviluppando su un appezzamento di terreno vulcanico a valle dei Castelli Romani?
All’interno della nostra azienda, abbiamo appena ultimato un nuovo impianto di Sauvignon Bianco con cloni italiani, francesi e della Stiria su un terreno vulcanico portato a valle dal torrente Astura dai Castelli Romani. Il nuovo impianto è frutto di un progetto di sperimentazione con l’Istituto di San Michele all’Adige ed in particolar modo con il professor Mattivi. L’obiettivo è quello di produrre in futuro un vino che rispecchi maggiormente non solo il territorio ma anche il nostro rapporto con esso.
Nello specifico, in questo progetto, la professionalità ed i tecnicismi hanno lasciato spazio al saldo legame con la natura ed alle emozioni ed intuizioni trasmesse dal territorio stesso, guidando, in un flusso in continua evoluzione, le scelte vitivinicole ed enologiche adottate.