Se faccio questo mestiere ancora con passione dopo tanti anni lo devo soprattutto a uomini come Giuseppe Coffele. Un uomo che ha legato fortemente, con coraggio, la sua vita ad una terra e al suo vino: Soave.
Lo conosco da tantissimi anni e con generosità mi ha sempre trasmesso non solo l’amore per il suo territorio ma anche l’importanza di fare seriamente il proprio lavoro.
Lo incontro ancora una volta nella sua bellissima casa nel cuore del suggestivo borgo medievale di Soave.
Gli anni che passano e qualche acciacco di troppo non gli impediscono di avere un sorriso aperto e sincero e uno sguardo sempre diretto, fiero.
Ci incontriamo in una delle fasi più difficili della storia di questo grande bianco italiano. Difficile capire le dinamiche di mercato dei vini, ma se c’è un produttore che ci può aiutare questo è Giuseppe Coffele.
“E’ vero, è una fase complessa per la nostra denominazione – racconta Giuseppe – sono da un lato preoccupato ma dall’altro anche sereno alla luce della consapevolezza del grande lavoro che come azienda abbiamo fatto in tutti questi anni. E siccome sono convinto che il lavoro paga sempre….”.
Un lavoro fatto di ricerca, di intuizioni, anche di coraggio nell’andare talvolta contro corrente pur di rimanere se stessi e di garantire un prodotto sempre coerente al proprio terroir.
“Un lavoro – sottolinea Giuseppe – che ci ha spinto a tanti sacrifici, ci ha portato a tante vittorie ma ci ha fatto anche assaporare l’amarezza della sconfitta. Questa è la vita, anche quella professionale, l’importante è non mollare e continuare a credere in quello che si sta facendo”.
Un impegno costante che sta facendo vivere all’azienda Coffele una fase positiva pur nella generale difficoltà della denominazione.
“E’ vero – spiega Giuseppe – stiamo raccogliendo molte soddisfazioni pur in un periodo certo non facile per il Soave. E penso che per capire la nostra ricetta di successo si debba guardare alla nostra storia che è caratterizzata da un impegno assiduo nel garantire la massima personalità del Soave attraverso l’esaltazione delle peculiarità vere della Garganega e di un cru prestigioso come il nostro Castelcerino”.
Ma Giuseppe Coffele incarna anche quegli uomini che amano dire sempre la verità, anche quando questa può risultare scomoda.
“Ma se il nostro successo risiede nella coerenza – evidenzia Giuseppe – nel non volere inseguire le mode ma nel rispettare al meglio ciò che la natura ci ha dato, va anche detto come la nostra denominazione sia caratterizzata da troppe contraddizioni a partire dall’eccessiva divaricazione tra i piccoli produttori e le grandi cooperative. Questo troppo spesso ha generato una forbice eccessiva e difficilmente giustificabile sul fronte dei prezzi ma anche una difficoltà evidente a far risaltare la vera anima del Soave e garantirgli una chiara riconoscibilità”.
Ma per Coffele le responsabilità vanno cercate anche nella cronica difficoltà dei piccoli produttori di Soave di fare squadra fino in fondo.
“Una difficoltà che spero finisca con la mia generazione – racconta Giuseppe – in quanto ritengo veramente indispensabile l’unione dei piccoli artigiani del Soave. In questa direzione devo ammettere che guardando ai miei figli (Alberto che si occupa della parte produttiva e Chiara, responsabile di tutta l’area commerciale) sono molto fiducioso perché mi sembra che vi sia molta più disponibilità al confronto e alla condivisione. Inoltre nutro grandi speranze anche nel ruolo della nostra Federazione dei Vignaioli indipendenti, di cui sono stato fondatore assieme ad un altro produttore storico come Leonildo Pieropan”.
Ma se Coffele è ottimista per la propria azienda lo è un po’ meno per “quelle nuove piccole realtà che si affacciano in questi anni per la prima volta al mercato. E lo fanno in una fase molto difficile che da un lato richiede grandi investimenti e dall’altro dà pochissime garanzie di successo”.
Gli obietto che anche quando ha iniziato lui a produrre Soave (nel 1971 la prima vinificazione dopo anni di difficile recupero dei 25 ettari di vigna nella splendida collina di Castelcerino) la situazione non era certo incoraggiante.
“E’ vero, hai ragione – sorride Giuseppe – se non avessimo avuto un po’ di sana incoscienza sia io (che venivo da un tranquillo lavoro da insegnante e preside) che mia moglie Giovanna (della famiglia Visco che già nella metà dell’800 produceva il “Bianco Soave”) probabilmente non ci saremmo imbarcati in un’avventura così affascinante ma anche così rischiosa. Se penso a quei 5 anni e alle 25.000 ore di ruspa (che Giuseppe ricorda costava ben 100.000 lire/ora) che ci sono volute per recuperare i 25 ettari di Castelcerino mi rendo conto che abbiamo avuto una bella dose di pazzia”.
“Ero decisamente inesperto – continua Giuseppe – e ammetto che non mi era chiaro a cosa stavo andando incontro. Lo stesso mio grande amico Bruno Marchioni, che conosceva bene il settore vitivinicolo, mi diceva spesso chi me lo faceva fare…”.
Esatto, quali sono state le ragioni che portarono un uomo così lontano dal mondo del vino ad investire e credere in questa difficile produzione?
“Intanto una produzione che mi affascinava e incuriosiva tantissimo. E poi la consapevolezza che attraverso lo studio e la ricerca (le due grandi passioni di Giuseppe Coffele) avrei potuto dare un contributo all’evoluzione del nostro vino e della nostra terra. Sono gli anni in cui mi avvicino a centri di ricerca prestigiosi come quello di Conegliano in Veneto e di San Michele all’Adige in Trentino. Ed in particolare a ricercatori come Giovanni Cargnello che mi diederono una grande mano nel capire le straordinarie potenzialità qualitative della Garganega. Come pure fondamentali furono uomini come Paolo Menapace che fu sempre un mio grande sostenitore”.
“Andavo a vedere i vigneti degli altri per cercare di capire come poteva venire coltivata la Garganega migliore sotto il profilo qualitativo e non quantitativo”, racconta Giuseppe.
Una fase caratterizzata anche da errori che però non lo scoraggiarono. “Sì, come il voler fare un Recioto spumante, che mi veniva quasi sempre male. Ma questo non mi impedì di continuare a credere nel mio lavoro e nei miei sforzi”.
Ma la forza di Giuseppe Coffele è stata anche la sua capacità intuitiva e il suo coraggio.
“Intuizioni e coraggio però che ho sempre cercato di sostenere attraverso la ricerca. Mi sono sempre circondato da bravi ricercatori che mi hanno aiutato a capire sempre le strade che portano ad una vitienologia di qualità. Sono stati proprio questi ricercatori, ad esempio, che mi hanno fatto capire il ruolo e l’importanza di un sistema di allevamento come la Pergola. Ed è questa consapevolezza che me l’ha fatta difendere anche quando molti colleghi l’abbandonavano”.
“Una Pergola, però, “intelligente” – spiega lo storico produttore di Soave – a maggiore densità e con apertura centrale di 1,5 metri. Una forma di allevamento che ci ha garantito in tutti questi anni la maggiore esaltazione delle potenzialità qualitative della nostra Garganega”.
Ma quale è la forza del Soave oggi?
“Il Soave è il vino bianco classico italiano per eccellenza e nessuno può smentire o negare tutto questo”, sottolinea con forza Giuseppe Coffele. “Un vino capace di coniugare un’eleganza invidiabile ad una bevibilità incredibile. Il classico vino che non stanca mai. Ma affinché queste caratteristiche vengano evidenziate è fondamentale la valorizzazione della viticoltura di collina lasciando ad altri vitigni (Pinot Grigio) le aree di pianura”.
Ma l’altro elemento chiave nella valorizzazione del Soave per Giuseppe Coffele è l’investimento in produzioni sempre più ecocompatibili.
“Da tempo abbiamo intrapreso la strada del biologico – spiega Giuseppe – e lo abbiamo fatto pur nella consapevolezza delle maggiori difficoltà e dei costi di produzione superiori. Ma siamo convinti che questa sia una strada indispensabile per la valorizzazione non solo dei nostri vini ma di tutto il nostro territorio. Per questo, ad esempio, abbiamo chiesto al nostro sindaco un’ordinanza di divieto della pratica del diserbo in tutto il territorio del nostro comune”.
“La scelta del bio, inoltre – evidenzia Giuseppe – ci ha aiutato a produrre vini, non solo più ecocompatibili e salubri, ma anche sempre più autentici ed aderenti alle caratteristiche del nostro terroir. Alberto, mio figlio, il nostro enologo, da sempre è un convinto assertore di questa via produttiva e in questi vent’anni di produzione biologica a mio parere siamo cresciuti ulteriormente anche sotto il profilo qualitativo”.
E come vede il futuro Giuseppe Coffele?
“Io sono un uomo fortunato perché ho due figli bravi, competenti, che amano il loro lavoro. Questa è una fortuna che mi consente di guardare al futuro con grande ottimismo sia sotto il profilo della vigna e della cantina con Alberto e del mercato con Chiara. Ma l’altro elemento che considero fondamentale per il futuro del Soave è la valorizzazione del territorio come volano enoturistico. Sono convinto che più comunicheremo direttamente ai nostri consumatori i nostri valori e più riusciremo a crescere, uscendo anche dalle difficoltà attuali. Infine, penso che dovremo investire ulteriormente sul binomio “Soave e longevità”. Rimango del parere che il nostro vino rappresenti uno dei bianchi dalle maggiori potenzialità anche in termini di longevità e questo è sinonimo storicamente di elevato valore qualitativo”.
“Ricordo a questo riguardo quanto il grande critico enologico Nicholas Belfrage disse del nostro Soave Ca’ Visco 1999: il miglior bianco che abbia mai assaggiato”. Con questa ultima nota di giusto orgoglio mi saluta Giuseppe. Non c’è stanchezza nel suo sguardo, tipico di chi da sempre è abituato a guardare sempre avanti.