Seguiamo le evoluzioni (ma anche le involuzioni) della vitivinicoltura australiana da oltre 25 anni e per noi è sempre stato un osservatorio molto interessante perché ci ha consentito di conoscere meglio le dinamiche di una vitivinicoltura cosiddetta “market driven” (guidata dal mercato). E il mercato, come tutti ben sappiamo, è sicuramente volubile, imprevedibile e non facilmente guidabile.
Ciò non toglie che la visione del mercato che l’Australia del vino si è costruita in quest’ultimo ventennio rimane molto interessante e pertanto le loro scelte vanno osservate con estrema attenzione.
In questa direzione ci ha particolarmente impressionato il recente articolo pubblicato su Wine Australia (www.wineaustralia.com) dall’eloquente titolo:”Australian wine: an alternative view”.
Da un po’ di tempo, infatti, anche in nostri recenti articoli, abbiamo evidenziato la virata della vitivinicoltura australiana verso una produzione più peculiare e riconoscibile, capace di valorizzare maggiormente i diversi territori produttivi ed abbandonando gradualmente la loro filosofia “solo varietale”.
E anche sul fronte varietale, come viene evidenziato in questo articolo, tra gli obiettivi strategici della “nuova” vitivinicoltura australiana vi è l’apertura a “varietà alternative”. E per varietà alternative “è scritto nell’articolo” “si intendono tutte quelle varietà non appartengono al mainstream viticolo australiano e non sono oggi coltivate in maniera estesa”.
L’articolo evidenzia come ad esempio il Pinot Grigio, che veniva considerata una varietà alternativa prima del 2009 oggi, vista la sua ampia diffusione in Australia, non la si può più considerare tale.
Oggi sono già più di 100 le varietà coltivate in Australia che vengono considerate alternative e che vengono attualmente monitorate anche sotto il profilo commerciale per capirne le reali potenzialità di sviluppo.
E’ il caso, ad esempio, del Tempranillo considerato oggi una delle varietà alternative (per l’Australia ovviamente) a maggiori potenzialità di sviluppo, grazie ad una crescita dell’export del 28% negli ultimi 12 mesi (fino alla fine di marzo 2017). Sempre il Tempranillo ha evidenziato le maggiori crescite in mercati come la Cina, il Regno Unito (+33% nell’export negli ultimi 12 mesi) e la Nuova Zelanda.
Ma a parte il Tempranillo sembrerebbero essere alcune delle nostre varietà italiane le alternative considerate più interessanti per la vitienologia italiana anche in relazione alle attuali mutazioni climatiche.
“Una delle alternative più eccitanti attualmente è il Nero d’Avola” “è scritto nell’articolo” che, tra l’altro, è stato il “Best wine in the show” all’ultima edizione dell’Australian Alternative Wine Show (AAVWS) ed è stato il “best red wine” nell’edizione 2015.
Addirittura James Halliday, winemaker e uno dei più noti e autorevoli critici enologici australiani, ha definito il Nero d’Avola “the new black” (il “nuovo nero”) descrivendola come la varietà maggiormente adattabile al clima siccitoso australiano e che meglio si adatta alle attuali tendenze di consumo. Non è un caso che la coltivazione di Nero d’Avola è triplicata in Australia tra il 2012 e il 2015 anche si rimane al di sotto dei 100 ettari e con un export in crescita ma che oggi è di circa 80.000 dollari (negli ultimi 12 mesi).
Tra i vini bianchi sono il Vermentino e il Fiano ad essere considerati i più interessanti da AAVWS, vincitori rispettivamente nella categoria bianchi del “Best wine in the show” 2015 e 2016.
In conclusione nell’articolo viene evidenziato come nell’imminente prossimo tasting del Wine Australia Alternative Varieties (in programma a Londra il prossimo 28 giugno), saranno presenti più di 120 vini realizzati da 30 produttori e in primo piano vi saranno l’Arneis, il Friulano, il Dolcetto, il Sagrantino e il Teroldego.
A noi sembra che il messaggio sia chiaro, per l’Australia del vino avere una “unique expression” e migliorare il proprio appeal ai consumatori di oggi, l’obiettivo è essere anche più “italiani”.
Ma se l’hanno capito gli australiani è bene che noi lo si sia ancora di più.
A noi faceva meno paura l’Australia di qualche anno fa che mostrava i muscoli piuttosto di questa che mostra il cervello.