Si potrebbe descrivere un orange wine come quello che non è. Non è un rosso, un bianco, un rosé, una bollicina o un passito. Definizioni in ogni caso riduttive per descrivere l’universo che ruota intorno a questo speciale prodotto. I “vini arancioni”, infatti, non rappresentano solo un colore a sé stante, ma si collocano in una posizione unica per indurre qualsiasi bevitore occasionale a vere e proprie conversazioni da esperto. Ogni calice suscita infatti delle domande in chi lo assaggia, curioso di saperne di più sulla sua storia, sui vitigni utilizzati e su molto altro ancora.
Chiamati anche vini macerati o vini a contatto con le bucce, gli orange wines sono di piacevole beva, facili da ordinare al ristorante o in enoteca: un trend recente ma con origini millenarie, risalenti alla Georgia di 8.000 anni fa, dove i vini bianchi venivano macerati in grandi anfore di argilla dette kvevri. La tecnica è stata ripresa poi negli anni ’90 da produttori italiani e sloveni – in Oslavia, in Friuli-Venezia-Giulia, è difficile non conoscere Josko Gravner, vero e proprio antesignano degli orange wines – e si è diffusa rapidamente in altre regioni del mondo, come Croazia, Slovacchia, Austria, Germania, Nuova Zelanda e California.
Il vino viene ottenuto quindi da vitigni a bacca bianca, le cui bucce non vengono rimosse (come accade nella vinificazione in bianco) ma rimangono a contatto con il mosto per un periodo di tempo più o meno prolungato, giorni o in certi casi anche mesi. Da qui derivano il colore arancione e le sue nuances, un vero e proprio caleidoscopio cromatico che si traduce in caratteristiche organolettiche tra le più diversificate a seconda dello stile: da bottiglie dall’invecchiamento prolungato in anfora a proposte leggere e rinfrescanti, con macerazione di breve periodo.
La domanda degli orange wines è cresciuta di pari passo con quella dei vini naturali, ma anche all’interno di questo segmento di mercato questa categoria ha una nicchia tutta sua. Secondo la rivista Bon Appetit, gli ordini su Drizly, uno degli e-commerce più importanti del Nord America, sono aumentati del 167% rispetto all’anno precedente e gli analisti prevedono che il mercato globale del vino arancione crescerà di quasi 27 milioni di dollari, fino a raggiungere 67 milioni di dollari entro il 2033.
L’ascesa degli orange, tuttavia, è molto diversa da altre tendenze passate, come ad esempio quella dei rosati negli ultimi anni. Il fatto che si tratti di un prodotto così insolito e la sua affinità con il mondo dei vini naturali, biologici o biodinamici, ha fatto sì che si sia diffuso rapidamente in enoteche, ristoranti e wine shop, desiderosi di avere in carta un “colore alternativo” capace di incuriosire e avvicinare i consumatori.
L’altra differenza rispetto, ad esempio, ai rosé, che passa dal vigneto alla bottiglia molto velocemente e che si è diffuso sugli scaffali in maniera repentina per via di un incremento della domanda, è che il l’orange wine ha alcune “protezioni integrate” per evitare di sottostare alle mode del momento. Questi vini possono richiedere anni prima di essere immessi nel mercato, e solitamente chi li produce lo fa in maniera tradizionale e da generazioni, senza scendere a compromessi.
Finché ci saranno quindi produttori validi e consumatori curiosi, gli orange wines saranno sempre più apprezzati, in grado di educare una nuova generazione di appassionati, realmente desiderosi di imparare molto di più su quello che stanno assaggiando. Un approccio unico, in grado di raccontare una storia e di unire il pubblico.