Le mura della città di Aigues Mortes ci ricordano l’importanza storica di questa terra e gli stagni d’acqua salata attorno ai vari tavoli di degustazione ci mostrano chiaramente l’eccezionalità del luogo. Ci troviamo nella villa di campagna del dipartimento francese del Gard in compagnia di rappresentanti locali delle istituzioni, giornalisti e sommelier. I protagonisti della degustazione sono proprio loro, i vini della sabbia, che in Italia sono troppo poco conosciuti.

Parliamo di 3000 ettari coltivati da 103 vignaioli in una terra il cui elemento più tipico è la presenza di un terreno molto sabbioso. Le fonti ci dicono che già nel VII secolo i monaci dell’abbazia di Psalmody, a pochi chilometri da Aigues Mortes, coltivavano la vite nella sabbia ma è nell’Ottocento che troviamo la vera fortuna di questi vini. Infatti, quando la vigna in Europa stava per scomparire a causa della filossera, i viticoltori del luogo notarono che le loro viti continuavano a vivere rigogliosamente. Solo dopo si scoprì che la filossera non riusciva a sopravvivere nella sabbia e già a fine Ottocento la società di estrazione salina di Aigues Mortes “Compagnie des Salins du Midi” investì in nuove vigne. Al tempo, da Aigues Mortes alle Saintes Maries de la Mer c’era un’enorme pineta che venne disboscata per far spazio all’industria del vino nascente. Da allora, Grenache noir e gris, Cinsault, Merlot e Carignan la fanno da padroni. Il 99% dei vins de sable è vinificato in gris o gris de gris. Pressatura diretta per conferire pochissimo colore al vino che infatti non è rosé, ma “grigio”. Si tratta di un vino molto piacevole perché aggiunge ai sentori tipici del rosé un accenno di iodio che lo rende estremamente beverino e fresco.

Tuttavia, se la natura è stata clemente in questa terra non è detto che continui ad esserlo in futuro.
Infatti, piantare la vite sulla sabbia a pochi metri dal mare comporta un grande rischio. La salinità di questi terreni sabbiosi ha, infatti, avuto un ritorno importante due anni fa. “La falda acquifera salata è molto vicina, ad appena un metro di profondità, e agisce come una barriera chimica alla crescita delle radici”, spiega Frédéric Arragon, presdente del sindacato dei produttori dei vins de Sable. Solo alcuni centimetri di acqua dolce sovrastano questa falda salata, permettendo alle viti di attingere ad essa per il loro approvvigionamento idrico. La gestione di questo sottile strato di acqua dolce è quindi essenziale per il mantenimento dei vigneti e delle altre colture della zona.

La denominazione, per ora IGP, Sable de Camargue è molto impegnata nell’agricoltura biologica con il 90% dei suoi vigneti certificati, “ma puntiamo al 100% di biologico” auspica Arragon. Con una forte presenza nei supermercati francesi e un boom di vendite dirette grazie all’attrattiva turistica della zona, si tratta di un’attività molto dinamica. 200.000 ettolitri sono la produzione media annua della denominazione che genera un fatturato di circa 80 milioni di euro. La Francia è il maggiore consumatore di vini rosé al mondo (con il 35%) secondo l’Osservatorio mondiale del rosé, ma l’Italia resta comunque nella top 5 con Stati Uniti, Germania e Regno Unito.

Dal 2013 la denominazione è impegnata nel raggiungimento della DOC francese ed europea (DOP). La prima è cosa fatta, resta soltanto da attendere l’agognato sì da Bruxelles. Terminando la degustazione ci rendiamo facilmente conto che, questi vini che vanno dai 5 ai 20 euro a bottiglia, potrebbero intercettare una domanda italiana interessata ad uscire dai classici rosé della Côte de Provence e che vuole degustare un vino particolare.