Conosco Gian Matteo Baldi da molti anni e posso dire di averlo seguito in quasi tutte le sue importanti esperienze professionali dalla direzione commerciale di Feudi San Gregorio alla direzione marketing di Tenimenti Angelini (diventati poi Bertani Domains), come ceo di Campari Wines e adesso di Stella Wines (il gruppo di proprietà della famiglia Moratti).
Gian Matteo rappresenta un manager del vino che non penso di sbagliare nel definirlo fuori dagli schemi. Un manager che fin da subito ha fortemente cercato di “contaminare” le aziende per le quali ha lavorato con numerosi riferimenti culturali, a partire dalla filosofia. Ma non solo e non tanto nella creazione di progetti “culturali” all’interno delle cantine, quanto proprio nell’approccio delle relazioni all’interno dell’azienda e nella comunicazione con l’esterno.
Per questa ragione parlare con Gian Matteo è prima di tutto un arricchimento dal punto di vista umano. Per lui prima di ogni cosa ci sono sempre le persone, gli uomini e le donne che incontra a prescindere dal business. Questo forse lo può fare apparire più “fragile” da un punto di vista manageriale ma in realtà questa sensibilità, a mio parere, lo rende capace di fare squadra, di comunicare le aziende per le quali lavora con maggiore profondità, originalità e autenticità.
Provate ad immaginare, al riguardo, lo sviluppo che è riuscito a dare il “filosofo” Sergio Marchionne al gruppo Fiat. Talvolta ragionare fuori dagli schemi può rappresentare un importante arricchimento per un’impresa.
Da quasi tre anni Gian Matteo è Ceo di Stella Wines che al suo interno ha le due realtà agricole: Castello di Cigognola nell’Oltrepò Pavese e Bentu Luna in Sardegna, di poco fuori la doc Mandrolisai.
“Bentu Luna – mi spiega Gian Matteo – è un posto realmente unico, una delle 14 zone in Italia che hanno ricevuto il riconoscimento come paesaggio storico rurale italiano. Di fatto nell’ultimo secolo il paesaggio non è mai mutato perché non è mai stata modificata la suo destinazione d’uso, da sempre agricola. Qui si può veramente affermare che tutto è rimasto come una volta. Prova ad immaginare in quanti pochi posti in Italia, ma anche nel mondo, si potrebbe dire la stessa cosa”.
Ecco un esempio del modo di vedere le cose di Gian Matteo Baldi, prima del vino c’è sempre un luogo, una storia.
Gian Matteo sei al centro di un progetto molto importante della famiglia Moratti. Potresti spiegare meglio di cosa si tratta?
Innanzitutto sono grato alla famiglia Moratti per questa straordinaria opportunità. Il driver del gruppo per la parte agricola oggi è Gabriele, figlio di Gian Marco (che oggi purtroppo non c’è più) e di Letizia. Il primo input che ho ricevuto è stato il rilancio dell’Oltrepò, territorio per il quale la famiglia nutre un reale amore e dedizione autentica. La prima cosa che mi ha chiesto Gabriele è stata appunto cosa possiamo fare in Oltrepò?
E tu cosa gli hai risposto?
Che dovevamo studiare bene questa terra che soprattutto in quest’ultimo decennio ha subito un sacco di attacchi alla sua immagine. Solo da uno studio approfondito, infatti, saremmo potuti arrivare a progetti concreti, con un senso preciso, coerenti alle potenzialità reali di questa terra senza scimmiottare esperienze di altre denominazioni.
Bene, avete studiato e cosa avete scoperto?
Che l’Oltrepò ha un’identità precisa, indelebile, che va solo assecondata in quanto è in grado di raccontare una storia assolutamente originale, capace di farsi riconoscere ed apprezzare immediatamente. E questo, credimi, non è scontato in tutti i territori del vino. Non è un caso che il grande Veronelli affermasse che l’Oltrepò rappresentava il maggior talento del vino in Italia.
Eppure sembra che questa terra non sia mai riuscita ad esprimere compiutamente il suo talento, perché?
Le ragioni sono molte. Non va dimenticato che la grande densità vitivinicola di questo territorio. Negli anni 50 è stata addirittura la zona a maggiore densità viticola al mondo. Una quantità di vigneti impressionante in uno spazio sostanzialmente piccolo. Nel passato, ma per un lungo periodo, di fatto ciò che si vendemmiava a settembre ottobre veniva quasi tutto venduto sfuso entro dicembre. Senza dimenticare il Pinot Nero che per moltissimi anni, e in parte anche oggi, ha rappresentato la base spumante per tante realtà spumantistiche italiane.
Anche oggi i 3.000 ettari di Pinot Nero dell’Oltrepò rappresentano circa il 70% di questa varietà in Italia. Solo la Borgogna con i suoi 8.000 ettari ci supera. Se a questo aggiungiamo altre due varietà come il Pinot Grigio e il Riesling ci rendiamo conto che anche queste due sono rientrate nel circolo dello sfuso italiano talvolta assumendo quei connotati poco chiari che hanno purtroppo influito nell’immagine complessiva dell’Oltrepò con alcuni scandali che hanno fatto male solo al territorio che non meritava certo tale reputazione. Insomma l’Oltrepò è stato per molti anni uno dei principali mercati dello sfuso italiano e questo ha generato un benessere diffuso che forse non ha spinto verso una produzione più diversificata come avvenuto in altre zone di prestigio del vino italiano. Il vero talento però è ancora più che mai vivo ed è anche moderno.
Cosa intendi per talento moderno?
Si tratta di un territorio in gran parte collinare, bellissimo anche se tutt’oggi, paradossalmente, poco conosciuto. Un territorio che ha tutte le caratteristiche per dare prodotti non solo di alta qualità ma anche coerenti alle dinamiche attuali di mercato ed agli stili di consumo. In questa direzione si inserisce il nostro progetto al Castello di Cigognola che finalmente è di medio-lungo periodo perché solo così si possono raggiungere risultati importanti e duraturi.
Il principale talento viticolo si chiama Pinot Nero, ovviamente, che può avvalersi un substrato geologico ideale (argilla e calcare) simile in parte a quello della Borgogna. Per questa ragione il denominatore comune del nostro progetto si concentra sul Pinot Nero e nella realizzazione di grandi Blanc de Noir capaci di garantire quella longevità che il marchio di fabbrica di grandi bollicine a livello mondiale. Con le nostre nuove linee di Blanc de Noir abbiamo praticamente azzerato i dosaggi per esaltare la freschezza e l’eleganza del Pinot Nero dell’Oltrepò facendogli raggiungere quella maturità naturale impossibile nello Champagne. Per questa ragione abbiamo messo al centro del nostro progetto la valorizzazione del Metodo Classico italiano perché siamo assolutamente convinti delle nostre diversità, della possibilità di creare prodotti dallo stile autenticamente italianio e in questo l’Oltrepò può rappresentare autorevolmente la capitale del Metodo Classico made in Italy.
Una sfida non facile quella del Metodo Classico italiano che di fatto negli anni non ha visto crescere di molto i suoi numeri.
In parte penso che questa difficoltà sia stata dettata proprio dal non avere una sua specifica identità. Per esaltare una precisa identità del Metodo Classico italiano, in particolare sul fronte artigianale, è fondamentale approfondire maggiormente la conoscenza delle materie prime. Nello Champagne si è studiato moltissimo in questa direzione mentre da noi è stata realizzata solo una ricerca che potremmo definire “casalinga”.
Ma oltre alla ricerca cosa avete inserito nella vostra “ricetta”?
Le risorse umane, senza ombra di dubbio. Un progetto non potrà mai camminare da solo, nemmeno quello meglio articolato. Servono le persone giuste al posto giusto. E per noi quelle più importanti che abbiamo individuato sono due donne giovani, Emanuela Flore, 33 anni, laureata in enologia ad Alba e Francesca Elli, 27 anni, enologa con tre vendemmie alle spalle in Nuova Zelanda. Due donne che lavorano sia in vigna che in cantina, appassionate e aperte costantemente ai consigli dei consulenti a partire da Giovanni Bigot che con il suo “indice” (Indice Bigot) è stato il primo a individuare precisi parametri di valutazione del vigneto. Per questa ragione oggi possiamo affermare, senza il timore di essere smentiti, che non solo siamo in grado di progettare la nostra vigna, i nostri vini, ma anche di monitorare costantemente la materia prima al fine di garantire sempre la maggiore aderenza tra i nostri vini e il territorio di produzione.
L’intervista con Gian Matteo prosegue su molti altri temi che racconterò presto perché il suo punto di vista regala sempre nuove riflessioni, oggi più che mai preziose, considerando le forti mutazioni che stiamo vivendo e che ci obbligano a guardare il mondo del vino da punti di vista diversi.
Gian Matteo questo approccio ce l’ha da sempre.