In quest’ultimo mese sono usciti moltissimi articoli riguardo alla spinosa tematica del rapporto tra vino e salute. I più interessanti sono sicuramente quello di Felicity Carter su Meininger’s International e quello di Jeff Siegel su Wine Industry Network.

Ma sempre Felicity Carter, nel suo podcast “The Business of Drinks”, ha lanciato una vera e propria bomba attraverso questa affermazione: “Ciò che è incredibilmente importante è che le pubblicazioni sul vino assumano un atteggiamento più responsabile nei confronti del tema del consumo moderato e della salute. Ho letto troppi articoli che presentano il vino come una sorta di elisir miracoloso in grado di curare o prevenire tutto, dal cancro alla demenza. Il mio timore è che un giorno i sostenitori anti-alcol si presenteranno davanti al Congresso agitando un mucchio di questi articoli e affermando che il settore vinicolo ha deliberatamente mentito sui benefici per la salute del vino”.

E sempre Felicity Carter ha scritto: “Non credo che le persone che lavorano nel settore del vino abbiano nemmeno iniziato a comprendere il livello di finanziamenti e di impegno che si contrappone oggi al consumo di alcol”.

In estrema sintesi, tutti i commenti che sto leggendo in questi giorni portano ad un’unica conclusione: dobbiamo prendere seriamente il neo-proibizionismo sul vino e non dobbiamo considerarlo l’ennesimo attacco che, alla fine, si dissolverà come tanti altri prima di questo.

L’investimento fatto dalla lobby anti-alcol non ha eguali a quanto abbiamo assistito negli anni precedenti, anche in termini economici. Basta osservare il mare di post su Instagram dove il consumo di alcol, anche in modalità moderata, viene dipinto come un’abitudine che fa ingrassare, che rovina la pelle, che fa diventare precocemente vecchi. Il tutto condito da immagini molto eloquenti di una persona prima e dopo il consumo di bevande alcoliche. Il bello è che non si sa nemmeno chi siano i mittenti di questi post, come se fosse una sorta di pubblicità progresso redatta da qualche istituzione ufficiale. 

E allora che fare?

Ricorrendo sempre a quanto i principali osservatori di questa tematica stanno scrivendo, potremmo sintetizzare in questi punti la possibile difesa di un consumo moderato di vino:

  • Innanzitutto prendere sul serio il neo-proibizionismo, evitando l’eccessiva promozione dei benefici del vino per la salute e adottando un approccio più equilibrato;
  • Sottolineare in maniera documentata e autorevole gli errori e le debolezze degli studi che collegano anche il consumo moderato di vino a rischi per la salute  pubblica;
  • Promuovere una ricerca scientifica di riconosciuta autorevolezza, in grado di evidenziare i benefici del vino, in particolare quando consumato come parte di una dieta mediterranea equilibrata. Questo approccio mira a fornire prove solide a sostegno del consumo moderato di vino come parte di uno stile di vita sano.
  • Offrire ai media mainstream un altro punto di vista. È fondamentale a questo riguardo “influenzare” i media tradizionali per presentare un punto di vista equilibrato sul consumo di alcol e sui benefici del vino, anche per contrastare la narrativa neo proibizionista che spesso prevale nei media;
  • Sul fronte del marketing è necessaria oggi una comunicazione capace di concentrarsi maggiormente sul promuovere il vino come una bevanda che si abbina bene al cibo, enfatizzando l’esperienza culinaria e i piaceri del cibo e del vino.

Riguardo a quest’ultimo punto, molto utile è il commento di Paul Tincknell della società consulenza Tincknell & Tincknell di Napa (California): “L’abbinamento al cibo sarà anche un cliché vecchio, magari anche noioso, ma è ciò che può salvare il vino. Il vino, infatti, è la scelta per la cena, il picnic, il pranzo, qualunque cosa. Meglio della birra, molto meglio degli spirit. I produttori però devono ripensare ai ‘vini da pasto’ e sfatare il mito che la bistecca sia migliore con il Cabernet e il pesce con lo Chardonnay”.

Ma l’industria del vino deve accettare anche la sfida della trasparenza. “Sostenere la trasparenza a partire dalle etichette – raccomanda il noto marketer californiano Tim McDonald – perché sottolineare la verità è un buon punto di partenza”. Ciò significa, sostiene, smettere di combattere gli sforzi per l’etichettatura nutrizionale e degli ingredienti e abbracciare invece questa comunicazione trasparente. Il vino, in termini di calorie, additivi, carboidrati e zuccheri, può solo presentarsi bene in confronto ad altre bevande, alcoliche e non. “Quanti conservanti ci sono, ad esempio – conclude Tim – in una bevanda analcolica?”.

In conclusione, emerge in maniera chiara come sia importante che la nostra amata filiera vitivinicola accetti di demistificare il vino.

Non significa farle perdere tutti quegli straordinari valori immateriali, ma dimostrare al mondo che il vino non ha paura di mostrarsi per quello che è, con i suoi punti di forza e i suoi limiti.

Se, poi, qualcuno si prenderà la responsabilità di uccidere un comparto da 333 miliardi di dollari (si sale a 1.624 miliardi se si mette insieme tutta l’industria delle bevande alcoliche), con un indotto economico dieci volte superiore e un ruolo determinante nella salvaguardia territoriale e paesaggistica, abbia almeno il coraggio di uscire allo scoperto completamente per far comprendere anche quali sono le sue reali coperture politiche e i suoi obiettivi finali.