Scrivo questo ricordo di Giuseppe Coffele con le lacrime che fatico ad arrestare, lo ammetto senza nessun pudore. 

La morte di Beppino, così mi ha onorato di chiamarlo negli ultimi anni della sua vita, mi ha colto di sorpresa anche se da alcuni anni aleggiava minacciosa sopra la sua testa.

Ma questo non gli ha mai impedito di essere vitale e vicino alle vicende della sua azienda ben guidata in questi anni, come mi diceva sempre, dai suoi figli Alberto e Chiara.

Anche sul tema di come si dovrebbe gestire il passaggio generazionale in azienda Giuseppe avrebbe potuto tenere un master universitario.

D’altro canto la vocazione all’insegnamento è sempre rimasta nel dna di Giuseppe Coffele. Quello è stato il suo primo amore professionale e di fatto non l’ha mai abbandonato.

Non solo, ma se è riuscito, pur venendo da un altro background culturale, a costruire una delle migliori realtà produttive del Soave è proprio perché ha avuto un approccio “scientifico” al difficile mestiere del vignaiolo.

Me lo ricordava spesso nei nostri purtroppo rari ma intensi incontri: “Fabio, se non fossi stato consapevole della mia ignoranza viticola ma al tempo stesso del desiderio profondo di colmare questa lacuna, non ce l’avrei mai potuta fare”.

Se penso a quanti imprenditori dell’ultima ora che mi capita di incontrare, convinti che possono entrare in questo mondo senza competenze, non posso ogni volta non rivolgere il mio pensiero all’umiltà e determinazione di Beppino Coffele.

Ma oggi, a poche ore dalla sua scomparsa, consentitemi di scrivere dell’uomo Giuseppe Coffele. E lo voglio fare riportando l’ultima mail che mi ha scritto il 6 luglio scorso, quando da pochi giorni eravamo partiti per la nostra avventura dell’Italian Wine Tour con il nostro camper Gino. 

Ed eravamo partiti proprio da Cascina Albaterra, lo straordinario progetto di solidarietà portato avanti dalla sua famiglia mettendo a disposizione una importante fetta di quella collina vitata diventata famosa nel mondo del vino soprattutto grazie alla sua capacità e lungimiranza: Castelcerino.

Caro Fabio, 

qualche anno fa in un tuo articolo che parlava del nostro Recioto di Soave Docg ammettevi – in apertura – che eri certamente “non obiettivo” nei nostri confronti. E lo sei anche oggi quando parli di Cascina Albaterra di Castelcerino: poco importa, perché anche io sono forse di parte nei tuoi riguardi quando dico che, essendo nati lavorativamente quasi insieme (io a coltivare la vigna e tu a criticare) sei tra i migliori scrittori di vita, sopravvissuti da quando negli anni 90 dicevo, nel mio wine shop, che c’erano più enogiornalisti in Italia che vigneti. 

Ti devo confessare che il tuo Wine Meridian è una creazione più unica che rara nell’ambito dello studio “completo” della vite, del vino e di tutto il mondo che vive intorno.

Finita la mia “ammissione di colpevolezza”,  permettimi alcune considerazioni sul tuo articolo: è un mini trattato che dalla vite porta alla vita: il tuo povero camper Gino nel tuo racconto sono io: il “mulo” che non si ferma mai e raggiunge i suoi progetti di cui all’inizio anche lui conosceva poco, ma lungo la strada della vita – anche tra mille avversità- incontra sempre qualche persona che lo aiuta e lo protegge. Dapprima – per me – mia moglie Giovanna e poi i miei figli Alberto e Chiara che con pazienza hanno saputo dare numerose soluzioni ai problemi quotidiani, passando dalla semplice produzione di uva e di vino, al biologico, alla salvaguardia dell’ambiente, alla ricerca di produzioni alternative. E Don Paolo che – solo con l’esempio – sta attuando un proficuo e profondo collegamento tra la vita reale e l’esigenza dello spirituale. 

Grazie Fabio, per quello che sei, che fai, che scrivi e ringrazia anche il tuo Gino che ti porterà a conoscere nel prossimo mese i tanti “muli” che rendono unica l’Italia.

Con stima, Beppino 

Ecco questo era Giuseppe Coffele che ha sempre fatto emergere il suo essere uomo autentico prima di essere produttore.

Un uomo che ha sempre combattuto per le sue idee, spesso critiche anche nei confronti della gestione della denominazione Soave, ma sempre con quell’educazione, quel coraggio che appartiene solo agli uomini veri.

Le sue erano sempre critiche dettagliate, che cercano di spiegare con chiarezza i rischi di determinate scelte e non erano mai rivolte a persone. Non l’ho mai sentito parlare male di nessuno, anzi non amava assolutamente il chiacchiericcio da bar.

Ho imparato tantissimo da Giuseppe Coffele, sia dal punto di vista professionale che umano. E’ stato assolutamente il primo a farmi conoscere i segreti qualitativi del Soave, l’incredibile capacità della Garganega ad invecchiare migliorando (lo faceva in tempi in cui sembrava quasi una bestemmia parlare di longevità del Soave), la straordinaria impronta dei diversi terroir del Soave Classico a partire dal suo amato Castelcerino. 

Se oggi il Soave giustamente si fregia di una mappa dei Cru lo deve tantissimo a uomini come Giuseppe Coffele. 

Ma non riuscirò mai, pensando a Giuseppe, a separare il produttore dall’uomo. La sua curiosità che andava ben oltre al vino è sempre stata per me contagiosa. Il suo amore autentico per la famiglia per me è stato motivo di grande ammirazione.

Mi unisco al dolore di Giovanna, Alberto e Chiara per questa perdita che mi rendo conto è enorme. Ma so anche che ciò che Beppino ci ha lasciato in eredità è così prezioso che consentirà a tutti coloro che l’hanno conosciuto ed amato di avere un patrimonio di risorse inesauribile.

Ciao Beppino, grazie ancora per la stima e l’amicizia che mi ha generosamente regalato, mi mancherai.