Se uno dovesse fare un’analisi su come il sistema vitivinicolo italiano comunica durante le fasi di crisi bisognerebbe affermare che l’Italia del vino è rappresentata solo da Angelo Gaja.
Certo, è una provocazione ma deve far riflettere questa perdurante difficoltà degli imprenditori, manager del vino italiani ad esprimersi, esporsi anche in una delle fasi più complesse della nostra storia.
E non si tratta tanto di “sfogarsi”, quanto di riuscire ad aprire un confronto aperto, capace di mettere in risalto problematiche e possibili soluzioni.
Noi, con tutti i nostri limiti, ci stiamo provando in tutti i modi per stimolare questo confronto ma dobbiamo ammettere che fino ad oggi abbiamo prodotto solo un “leggero venticello”.
Anche dal nostro continuo ascolto di produttori e manager riceviamo spesso preoccupazioni ma al tempo stesso una oggettiva difficoltà ad esporsi, ad essere più franchi, trasparenti.
Sono molti, ad esempio, quelli che ci chiedono di parlare con il triste “microfono spento”.
Perché c’è questa paura? Un noto produttore veneto nei giorni scorsi ci ha sottolineato come questo atteggiamento “omertoso” di fatto appartiene storicamente ai rappresentanti di un settore che continua ad avere profonde radici rurali e quindi è da ascrivere ad aspetti di natura culturale.
In parte questa interpretazione può essere corretta ma noi non ci accontentiamo della solita motivazione “culturale” che rischia, in una fase delicata come questa, di non far compiere al nostro sistema vitivinicolo quelle indispensabili trasformazioni.
E sì, perché a nostro parere, come abbiamo spesso sottolineato in questi difficili mesi, non si può considerare Covid-19 la causa di tutti i mali del nostro settore. In tempi di crisi come questi ritenere i “nemici” delle nostre imprese, dei mercati, solo i fattori “esterni” sarebbe un errore imperdonabile.
Per questa ragione anche questa difficoltà a comunicare, ad essere trasparenti, ad avere il coraggio di esporsi è sintomatica di un limite preoccupante del nostro comparto.
In questi mesi, grazie anche ai social media, ma anche ai media più tradizionali, abbiamo seguito con estremo interesse l’acceso dibattito che si è aperto in molti comparti economici.
Basterebbe seguire, ad esempio, il confronto apertissimo che quotidianamente si svolge sulle pagine di LinkedIn dove imprenditori e manager di molti settori discutono sulla situazione attuale, riportano analisi di vari osservatori, riprendono articoli di diversi media, propongono possibili soluzioni. Senza dimenticare quello che avviene in un contenitore mediatico tradizionale come la “vecchia” televisione che ogni giorno comunque propone talk dedicati alle problematiche di svariati comparti economici.
Il vino però non si sente mai. E’ come se fosse una sorta di oasi felice, un comparto da interpellare solo quando c’è da festeggiare qualcosa, per fare un po’ di colore a “Porta a Porta”.
Non è un bel segno. Significa che siamo ancora ben lontani dall’essere un settore economico maturo.
Temiamo che questo nascondersi non sia una tattica ma la prova provata di un grave limite del nostro comparto.
E d’altro canto, come abbiamo anche in queste ultime settimane sottolineato, il nostro è un settore che tutt’oggi, nonostante tutto, continua ad avere difficoltà anche a comunicare al meglio le sue molteplici positività.
Al punto che anche nel nostro Italian Wine Tour abbiamo dovuto registrare come il vino italiano racconti solo una piccola parte dei suoi straordinari valori.
Non vorremmo che questa pandemia, tra i vari danni che sta già provocando, diventi anche un perfetto alibi per molti produttori nel proseguire con il loro preoccupante silenzio.