Ci fa piacere leggere in questi giorni, da parte di un po’ tutte le organizzazioni professionali ma anche da numerosi importanti produttori, che il supporto al nostro settore vitivinicolo deve inevitabilmente passare anche attraverso una maggiore unità tra i protagonisti della produzione vitienologica del nostro Paese. Viene altresì richiamata la necessità che vi sia un coordinamento unico per definire le strategie più opportune e che è preferibile un grande investimento sul vino italiano nel suo complesso rispetto a una eccessiva frammentazione degli aiuti.
Basta andare a leggere anche in questi giorni i richiami, ad esempio, di Unione Italiana Vini, la più grande organizzazione di produttori di vino italiana, alle istituzioni pubbliche italiane, a partire dal Ministero delle politiche agricole, per trovare conferma su quanto evidenziato in premessa.
In linea di principio non si può, onestamente, non essere d’accordo su questa chiamata all’unità del sistema produttivo e sul sollecito rivolto alle istituzioni perchè non vengano disperse le risorse in mille rivoli.
Ma con altrettanta onestà bisogna anche cominciare a dire cosa si vuol fare. Perché certo il “come” è molto importante ma diventa una pericolosa astrazione se non si inizia anche a specificare esattamente quali sono le strategie e i progetti che si vogliono realizzare.
Non basta, ad esempio, dire che dobbiamo fare un grande progetto di promozione del vino italiano in Usa o Cina. Dobbiamo dettagliare esattamente di cosa si tratta. Non dobbiamo limitarci a dire che deve esserci un coordinatore, magari l’Ice o Vinitaly, ma non evidenziare anche quale mandato e responsabilità vengono a questi enti attribuite.
Insomma bello dichiarare i “principi” ma senza gli aspetti concreti allegati rischiamo fondamentalmente due gravi conseguenze: la prima è la solita delega alla politica di scegliere il cosa fare dandogli l’alibi perfetto in caso di errori (di cui purtroppo ne abbiamo avuto molte dimostrazioni anche nel recente passato); dall’altro di dimenticare che il sistema vitivinicolo italiano, ci piaccia o no, è fortemente eterogeneo e i fabbisogni, pertanto, sono inevitabilmente diversificati.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, pertanto, dobbiamo oggi chiederci: “Chi sarà il responsabile della redazione di questo ‘Piano di promozione del vino italiano’ condiviso dal nostro sistema vitivinicolo nel suo complesso?”. Le domande sono talvolta più preziose delle risposte perché ti fanno capire come sia spesso “facile parlare” (e scrivere) ma “molto difficile agire”. Le nostre stesse obiezioni non vogliono apparire boriose e, tanto per essere chiari, non abbiamo una risposta precisa al riguardo. Quello però che ci piace poco, perché non lo riteniamo sufficientemente chiaro e trasparente, è la solita manfrina del richiamare l’unità e poi non evidenziare quali sono i tavoli di discussione, di confronto e chi ci può partecipare.
In queste situazioni si ha sempre la sensazione che si voglia montare la solita cortina fumogena che poi consenta a qualcuno di decidere in nome di altri…ignari.
Per questa ragione, ad esempio, avevamo colto con favore la recente proposta (nell’ambito del progetto Vision 2030) di un manager come Ettore Nicoletto, AD di Bertani Domains, di definire, insieme ad un gruppo di produttori e manager volenterosi e illuminati, anche un piano sulla promozione del nostro made in Italy vitienologico. Una proposta che in qualche misura vuole rompere lo schema classico del delegare sempre alla politica le scelte che poi ricadono sulla testa delle imprese.
Non sappiamo ancora bene se la proposta di Nicoletto avrà in qualche modo seguito, ma quello che è certo è che non è più pensabile che gli schemi del passato, che da tempo dimostrano i loro grandi limiti, siano ancora efficaci e applicabili in una emergenza epocale come questa.
Ci piacerebbe oggi quindi sentire un pullulare di proposte da parte del mondo produttivo, rappresentante di grandi e piccole imprese.
Invece, purtroppo, fino ad oggi sentiamo solo richiami ad aiuti, a unità di intenti, sollecitazioni alla politica di essere vicina ai produttori, per carità questioni legittime ma nulla di veramente concreto.
Quando si parla di cifre non è ancora chiaro quanto, per esempio, spetterà al nostro settore vitivinicolo nell’ambito del tanto sbandierato “Patto per l’export”, per il quale sarebbero stati stanziati circa 1,4 miliardi di euro.
Non ci ha aiutato molto a comprendere meglio le cose la risposta che il sottosegretario al Mipaf Manlio Di Stefano ha rilasciato a Unione Italiana Vini, pubblicata sul Corriere Vinicolo che di seguito riportiamo.
“C’è piena disponibilità ad ascoltare e analizzare dei progetti specifici per il settore vitivinicolo. I fondi per finanziare le attività ci sono nell’ambito dei sei pilastri del Patto per l’export. Ma è necessario muoversi a livello tecnico perché l’intenzione del nostro Dicastero è quella di partire già dal prossimo mese di settembre. Assieme a Mipaaf e Mibact stiamo implementando una campagna in cui, per la parte vitivinicola, prodotto, territorio e aspetti culturali siano pienamente integrati. Il concetto che sta alla base è il potenziamento dell’export per attirare turisti e buyer di alto profilo. E nel caso del vino ritengo si debba puntare ancora di più a una promozione inte- grata tra vino e territorio, diretta a una specifica fascia di mercato. Ma per farlo è necessario che si parta da una proposta concreta”.
Ecco, appunto, una proposta, magari ancora meglio delle proposte concrete.
Scusateci, però, se rimaniamo dubbiosi ma a noi ancora una volta sembra che il mondo continui a cambiare, Covid-19 sta generando rivoluzioni ovunque, ma certe logiche, impostazioni, nel nostro Paese rimangono immutabili nel tempo.
E anche il nostro amato settore del vino purtroppo continua ad essere un triste esempio al riguardo.