Nella veste di presidente di Federdoc ho letto con molto interesse l’editoriale del direttore di Wine Meridian  “Denominazioni forti solo con Consorzi efficaci” .

Federdoc da tanto tempo sottolinea che le denominazioni funzionano solo laddove esistono Consorzi adeguatamente strutturati in grado di operare con efficacia;  con oltre 500 DOCG-DOC-IGT del vino nel nostro Paese solo 76 di queste rappresentano circa il 90% del vino a Denominazione prodotto, ed hanno ovviamente un Consorzio che le gestisce. Per molte DO troppo piccole avere un Consorzio è quasi impossibile ed è un tema su cui ritornerò.

Parto tuttavia dall’affermazione circa “la difficoltà sempre più evidente di costruire una nuova classe dirigente per i Consorzi di tutela italiani”  emersa nell’articolo “Soave e Valpolicella senza nocchieri” dello scorso 20 Novembre (link)

Il concetto, che condivido, parte dal presupposto che il Consorzio “è quasi sempre lo specchio della Denominazione” ovvero dei suoi produttori che “non vanno mai disgiunti” dal Consorzio.  Ed ancora di come sia facile “parlare della negatività della nostra classe politica senza però fare un’analisi anche del relativo elettorato”.

Partendo da questo sacrosanto concetto mi sovvengono una serie di interviste fatte quest’estate su una spiaggia chiedendo ai ragazzi (maggiorenni e patentati, dunque elettori) chi fosse il Presidente del Consiglio (Conte, ma non l’allenatore dell’Inter), cosa pensavano del MES (nomignolo del calciatore Messi e non Meccanismo Europeo di Stabilità per il quale in questi giorni rischiamo di veder cadere il Governo) o chi fosse Bill Gates (l’inventore del cellulare). 

Emergeva chiaro in quelle interviste la scarsa conoscenza della realtà in cui vivono, spero solo alcuni dei ragazzi intervistati; tuttavia questa ricorda a tutti noi che viviamo in un mondo complesso, interconnesso, e spesso privo di quella dote di approfondimento e cultura (leggi conoscenze) necessarie per guidare strumenti complicati perché ricchi di funzioni come ad esempio i Consorzi, ma potrei parlare di Comuni, Regioni, Stato.

Questa necessità di cultura e conoscenza ha un riflesso sui Consorzi di tutela che devono dotarsi di personale specializzato e competente in grado di rapportarsi con una realtà complessa come la loro.

Per questo diventa indispensabile formare le nuove generazioni fornendo loro gli strumenti per comprendere cosa è e come funziona un Consorzio di tutela.

Alcune realtà consortili si stanno già attrezzando in tal senso, un esempio è rappresentato dal “gruppo giovani” all’interno del CdA del Consorzio Franciacorta.

Giovani produttori anche in Consiglio di  Federdoc (decisione che prenderemo la prossima settimana) e degli altri Consorzi è una sfida per garantirsi un futuro, così come a presto investiremo in borse di studio per la formazione di dipendenti dei Consorzi, speriamo futuri Direttori.  Insomma qualcosa per costruire un futuro l’abbiamo cominciata a fare.

Come funziona un Consorzio di tutela? Saremo in grado di “garantire maggiormente non solo la rappresentatività ma anche il “potere” dei diversi componenti (dalle piccole alle grandi imprese)?

I Consorzi di tutela hanno sistemi di voto ispirati al principio della ponderalità che attribuisce a ciascun consorziato un peso diverso sulla base della produzione rappresentata (uva-vino-bottiglie) e ogni territorio ha una filiera produttiva con le proprie caratteristiche nella quale, i pesi sono distribuiti diversamente. L’arduo compito che hanno i Consorzi di tutela è quello di applicare il principio del voto ponderale alla realtà rappresentata, cercando di mantenere gli equilibri di potere esistenti.

Ancora una volta si tratta di equilibri che devono essere gestiti da uomini, produttori e Direttori, con saggezza e conoscenza della loro realtà. 

Strumenti quali Dyonisos messo a disposizione da Valoritalia per le DO da questa controllate o gli Osservatori Economici previsti per i Soci di alcune DO (Franciacorta, Chianti Classico) fanno anche parte di questa dotazione di dati necessari alla gestione delle attività di produzione della DO. 

Questa attività è relativamente nuova per il nostro mondo (DM Consorzi del 2018) è normale quindi che ci si stia attrezzando con strumenti nuovi.  Peraltro la norma andrebbe completata prevedendo che i Consorzi di tutela siano equiparati alle Organizzazioni Interprofessionali disciplinate dal Reg. n. 1308/13 – art. 157.

Come risolvere la mancanza di Consorzi e l’eccesso di DO?

L’eccessivo numero di denominazioni (come più volte sostenuto da Federdoc) è un tema su cui gli stessi produttori dovrebbero intervenire, anzi solo loro possono in realtà farlo favorendo aggregazioni attraverso la creazione di denominazioni più grandi oppure salvaguardando la DO come sottozona di una più ampia.

Le piccole DO, ma anche alcune più grandi,  possono essere gestite creando Consorzi più strutturati con l’incarico di tutela di più DO come ad esempio l’IMT nelle Marche. Consorzi troppo piccoli non riescono ad avere risorse economiche sufficienti neanche per pagare del personale a tempo pieno, condividere una segretaria o un direttore diventa quindi non una diminutio capitis ma una intelligente scelta gestionale.

La scelta outsourcing o gestione interna  per alcuni servizi (progetti OCM, agenti vigilatori ecc.) sarebbe a questo punto una decisione squisitamente imprenditoriale e non condizionata dalla limitatezza delle risorse umane disponibili.

Il grande tema dell’erga omnes ci riporta all’inizio, le DO sono “forti solo con Consorzi efficaci”.

Le strade del Legislatore potevano essere due; la prima era rendere i Consorzi obbligatori come per molte altre realtà in Europa ed in Italia (bonifica ad esempio), con il risultato di creare carrozzoni sede di scontri politici per una sedia. Federdoc è sempre stata contraria a questa ipotesi. 

Oppure, come ha fatto, il Legislatore poteva lasciare la volontarietà di associarsi ai Consorzi e garantire a quelli capaci di creare armonia e crescita l’opzione dell’erga omnes che a fronte di una maggioranza di almeno il 66% dei produttori (nelle tre categorie) garantisse che tutti fossero chiamati a contribuire ai costi di loro competenza con l’erga omnes.  Esattamente come succede nei condomini in cui viviamo e dove siamo chiamati a concorrere alle spese gestionali comuni.

Sono contento di questa scelta e sottolineo che organismi volontari che svolgono funzioni para pubblicistiche ai quali il Mipaaf come ben sappiamo sulla base di criteri di rappresentatività conferisce un incarico a svolgere funzioni di tutela, vigilanza, valorizzazione, promozione. I Consorzi si occupano di un patrimonio collettivo ovvero le denominazioni, spesso affrontando dei costi importanti per difenderle dagli attacchi indiscriminati di pirateria, di italian sounding, dalle contraffazioni, e contribuire alla loro promozione e valorizzazione nel mondo il Made in Italy!  Tutto questo senza che lo Stato contribuisca se non marginalmente cofinanziando queste attività, infatti i fondi destinati a questo scopo sono sempre più ridotti. 

Ma non c’è Ministro di questa Repubblica che non parli con soddisfazione del successo del Made in Italy di cui i vini a DO sono una bandiera.

Inoltre il MIPAAF vigila sugli incarichi ai Consorzi e fa verifiche annuali sui loro bilanci che devono avere una contabilità separata per i servizi svolti per i soci.

Insomma ritengo che sia positivo obbligare tutti a finanziare la casa comune senza, ovviamente, negare l’importanza di monitorare costantemente l’efficacia degli strumenti utilizzati e delle azioni comunicative e promozionali realizzate.