È sempre difficile fare bilanci sulle grandi manifestazioni internazionali come ProWein, che oggi chiude i battenti. Ci dobbiamo pertanto limitare a sensazioni, ma anche ai tanti confronti che abbiamo avuto con produttori e buyer.
Cosa è emerso da questi confronti?
Innanzitutto, che una fiera “fisica” è ancora indispensabile per il settore vitienologico. Inutile girarci intorno: le relazioni dirette rimangono determinanti se si vogliono costruire rapporti commerciali seri e duraturi.
Altro aspetto importante è che i mercati del vino non sono fermi; la stessa Cina dà segnali di ripresa, anche se probabilmente ci vorrà ancora del tempo perché questo grande Paese diventi un “mercato stabile” e “affidabile”. La selezione in atto all’interno del sistema di importazione in Cina ci fa però ben sperare che a breve si potrà interloquire solo con operatori competenti e affidabili.
Ma quello che è apparso più evidente in questo ProWein, dopo averlo già notato a Wine Paris nel febbraio scorso, è che anche il mondo del vino è scosso da profonde mutazioni.
Girando tra gli stand internazionali, ci si rende conto di come il packaging ha ormai assunto un ruolo chiave nell’immagine e comunicazione del vino. Packaging di ogni tipo che vogliono “parlare” con target diversissimi tra di loro. Packaging innovativi che fanno comprendere che i consumatori di vino vogliono essere sempre più liberi nelle loro scelte, spesso con la voglia di trasgredire alle confezioni più tradizionali.
Senza dimenticare il mondo degli spirits, che più del vino sembra oggi in grado di intercettare le tendenze e le aspettative dei giovani consumatori.
In una fase così velocemente in evoluzione, rimangono due importanti punti fermi: il primo è la forza del brand. Le imprese che sono riuscite ad accreditare al meglio il proprio brand, a rendersi ben visibili e autorevoli, stanno registrando risultati positivi anche in una fase complessa come questa; il secondo aspetto riguarda i brand territoriali, le denominazioni che oggi più che mai possono e devono giocare un ruolo determinante per riuscire a dare una corretta riconoscibilità e posizionamento alla straordinaria biodiversità vitienologica italiana.
Anche questo ProWein ha evidenziato come le denominazioni più forti continuano ad essere ricercate e attrattive. Ma sono ancora troppe le denominazioni italiane in cerca di notorietà e, in questa direzione, deve essere fatta una seria riflessione di come alcuni Consorzi di Tutela dovrebbero muoversi sui mercati internazionali e su fiere strategiche come quella di Düsseldorf.
Ci duole ammettere che, anche quest’anno, nella sezione italiana abbiamo osservato troppe aree “istituzionali” scarsamente efficaci e dinamiche sia in termini “comunicativi” che “commerciali”.
È arrivato il tempo di non concepire più le aree “istituzionali” (quelle consortili, regionali, camerali, ecc.) come un mero contenitore a buon prezzo per le imprese.
Devono diventare “contenitori pensanti”, studiati per agevolare concretamente lo sviluppo dell’immagine e del business delle imprese che rappresentano.
Una sfida molto complessa, certo, ma che l’Italia del vino non può più permettersi di rimandare.