La quinta edizione di Spumantitalia si è tenuta dal 4 al 6 giugno presso il Centro congressi di Riva del Garda. Una location perfetta, sulle suggestive rive del Lago di Garda, per poter far conoscere meglio le bollicine italiane nelle loro diverse espressioni. In Trentino, tra l’altro, una delle migliori patrie del metodo classico italiano, dove nasce lo straordinario Trentodoc.

Tutti presupposti ideali per mettere insieme il meglio della spumantistica italiana e farla conoscere ad un target qualificato, oltre che ad un nutrito pubblico di appassionati italiani e non solo.

I presupposti c’erano ma la realtà è stata, purtroppo, ben diversa, con un numero ridottissimo di espositori (meno di una trentina).

Nonostante gli sforzi del coraggioso Andrea Zanfi che, con la sua elegante pubblicazione Bubble’s, da numerosi anni cerca di riunire sotto un unico tetto l’eccellenza della spumantistica tricolore, i risultati tardano a farsi vedere e oggi è lecito domandarsi le ragioni di questo insuccesso.

In cinque anni sono state cambiate tre location per Spumantitalia (Pescara, Garda e Riva del Garda) ma il risultato non è mai stato completamente soddisfacente e probabilmente quest’anno si è toccato il fondo, inutile girarci tanto intorno.

Sarebbe sbagliato, a mio parere, cercare colpevoli sul fronte organizzativo perché sia le location (oltre al Centro congressi sono stati utilizzati il Palavela e la Spiaggia Olivi) che la collaborazione con la Fiera di Riva del Garda davano ampie garanzie. Ma nessuna manifestazione fieristica può avere successo se le aziende che dovrebbero o potrebbero aderire non ci credono.

È la partecipazione delle aziende, il loro valore, la loro identità, il presupposto fondamentale per il successo di un evento fieristico di qualsiasi natura, compreso il Festival Nazionale Spumantitalia.

Per questa ragione è importante chiedersi come mai le aziende spumantistiche italiane non credono sia utile una manifestazione a loro dedicata.

Eppure, se pensiamo alla crescita straordinaria che hanno conosciuto gli spumanti (a partire ovviamente dal popolare Prosecco), verrebbe da pensare che un evento dedicato totalmente alle bollicine italiane dovrebbe essere “quasi inevitabile”: più che un’opportunità, una vera e propria necessità.

Ma i risultati di Spumantitalia ci dicono invece l’esatto contrario. Sono pochissime le aziende italiane che producono spumanti, sia Charmat che Metodo Classico, che ritengono utile una manifestazione per le bollicine made in Italy.

Siccome sono ormai abbastanza vecchio, non posso essere ingenuo: la spumantistica italiana di fatto è solo una creazione giornalistica, non è mai esistita, nemmeno quando si tentò l’operazione Talento (ci ho messo addirittura un po’ per ricordarmi questo nome, e questo la dice lunga).

E non si tratta solo della divisione tra la piccola (in termini di numeri) élite del Metodo Classico e la grande schiera del metodo Martinotti: la realtà è che se già il vino italiano è individualista nel suo complesso, quando si scende sul campo delle bollicine fare un po’ di squadra è praticamente impossibile.

A questo punto, sento già il commento principale: “E chi se ne frega! Perché sarebbe così utile fare squadra nel mondo degli spumanti italiani?”.

I motivi sarebbero in realtà tanti e, tra questi, ho scelto quello che ha ricordato Riccardo Cotarella, il presidente di Assoenologi, nell’introdurre una interessantissima masterclass proprio in quest’ultima edizione di Spumantitalia: “Gli spumanti sono il driver del vino italiano; me l’aveva già pronosticato oltre trent’anni fa un noto giornalista internazionale. Oggi abbiamo vitigni autoctoni di molte regioni italiane, a partire da quelle del Sud, che sono ideali anche nella loro interpretazione spumantistica, come ad esempio il Nerello Mascalese dell’Etna, ma anche il Grillo è in grado di regalare bollicine pazzesche, o il Gaglioppo in Calabria, il Negroamaro in Puglia, il Pecorino e la Passerina in Abruzzo, la Falanghina in Campania, il Roscetto nel Lazio e tanti altri ancora”.

Le bollicine – ha aggiunto Cotarella – sono uno specchio che può riflettere le straordinarie potenzialità della nostra vitivinicoltura”.

Può, quindi, un patrimonio così eterogeneo e straordinario rimanere ancora in gran parte sconosciuto?

A questa domanda ha risposto un altro esperto, tra i pochi (ma decisamente autorevoli) presenti a Spumantitalia: il commissario straordinario dell’Istituto Vite e Vino della Regione Sicilia (presente tra l’altro all’evento con ben 12 aziende!). “Le diversità diventano una straordinaria e incredibile risorsa solo quando vengono messe a sistema, in squadra, altrimenti rimane solo un pericoloso individualismo”.

In due affermazioni, dal mio punto di vista, una grande verità: se pensavamo che bastassero le nostre fantastiche “diversità” a renderci vincenti, ci siamo illusi. E lo vediamo tutti i giorni davanti ai nostri occhi: un mare di denominazioni e tipologie di vini, a partire anche da molte nostre eccellenti bollicine che rimangono sconosciute, che non sono valorizzate in maniera adeguata, con prezzi che spesso vengono definiti convenienti ma che sarebbe più corretto definire deprimenti.

E penso siano ancora le parole di uno dei più noti enologi al mondo a ricordarci un’altra verità: “A tutto ciò che è bollicina piacevole, immediata nel mondo viene dato il nome Prosecco, e noi non siamo ancora riusciti a dargli lo straordinario prestigio che merita”.