Dopo il lungo periodo di pandemia, ho avuto la fortuna di ritornare nei giorni scorsi come relatore alla convention di CDA – Consorzio distributori alimentari, l’associazione italiana che riunisce un centinaio delle migliori imprese operanti nel settore della distribuzione di bevande e prevalentemente focalizzate sul mercato horeca (con una vendita di vini nel 2022 di circa 21 milioni di litri per un valore vicino ai 100 milioni di euro) – che mi ha consentito di avere un osservatorio privilegiato su come si sta muovendo il vino italiano all’interno del canale horeca.
E quando parliamo di horeca, è bene ricordarsi che nel nostro Paese questo canale conta circa 335.000 punti di consumo che sono coinvolti a vari livelli nella vendita di vino.
Ed oggi, in questo periodo post pandemico, è quanto mai prezioso osservare le dinamiche dell’horeca anche per comprendere quanto sia importante il mercato del vino in Italia. A quest’ultimo riguardo, va sottolineato come, tra le tante conseguenze negative derivanti dall’emergenza Covid (dal conflitto russo-ucraino al drammatico rincaro delle materie prime), vi sia quella positiva di aver ripreso a considerare strategico il mercato italiano.
Purtroppo, il canale horeca è poco monitorato e pertanto le informazioni che arrivano dal mondo dei distributori sono decisamente importanti.
Quando parliamo di horeca, dobbiamo tenere a mente che si tratta di un mondo decisamente segmentato che implica di conseguenza strategie di approccio diverse per la vendita di vino. Ci troviamo di fronte, ad esempio – come ha evidenziato Alberto Scola, responsabile di Progettica, una delle società di consulenza tra le più autorevoli nell’analisi e nell’approccio al canale horeca – a 112.000 ristoranti e a 137.000 bar, ma sono molto interessanti anche i 4.000 punti di consumo delle catene emergenti di ristorazione (una tendenza molto importante nel nostro Paese) o le 3.000 imprese di banqueting e catering. E, a proposito di quest’ultima categoria, considerando che in Italia – come ha sottolineato Bruno Berni, uno dei più autorevoli analisti delle dinamiche di consumo di prodotti agroalimentari del nostro Paese – oggi si svolgono più di 200.000 matrimoni, 350.000 feste di laurea, oltre 400.000 battesimi, senza parlare di cresime e comunioni, si comprende facilmente quante occasioni di consumo potenziale di vino ci siano solo nel nostro Paese.
Complessivamente, l’horeca vale un fatturato di 90 miliardi di euro, di cui circa 66 miliardi sono legati a ristoranti e bar.
Ma chi sono oggi i principali fornitori dell’horeca per l’acquisto di materie prime e di prodotti (compreso il vino)? Senza ombra di dubbio i distributori che, sempre secondo i dati presentati da Progettica, rappresentano ben il 77,5% degli acquisti da parte degli operatori dell’horeca. Oltre loro troviamo il cash&carry e gli Iper, con il 9,3%, mentre il “produttore direttamente” rappresenta solo il 6,1%.
Sempre secondo l’analisi di Progettica, nel 2022 l’universo di 2.000 grossisti ha realizzato un fatturato di circa 6,4 miliardi di euro (di cui il 74% frutto delle loro vendite all’horeca). Di quelli da loro monitorati, 1.014, il fatturato è stato di oltre 4,7 miliardi di euro, di cui l’80% realizzato nel canale horeca.
E quanto incide il fatturato vino per i grossisti italiani? Quasi il 16%, superiore alle birre confezionate (15%), ma inferiore a birre in fusto (21,3% e spirits (16,6%). Confrontando il dato 2022 con il 2019, però, il vino è cresciuto del 19,2%, molto più di birra confezionata (+3,1%) e birra in fusto (+2,2%).
Ascoltando la voce dei distributori, ho avuto la netta sensazione che il vino stia diventando per loro un asset sempre più importante: non a caso, rispetto alla convention del 2019 di CDA, quasi tutti i loro soci si sono dotati di un “uomo vino”, consapevoli che maggiore è la loro competenza sul fronte enologico, superiore sarà la loro capacità di vendita.
Leggendo i dati presentati da CDA, il vino sta erodendo quote, in particolare, alla birra, mentre impressionante è la crescita degli spirits trainati (ormai da alcuni anni) dal fenomeno della mixology, che sta coinvolgendo sempre di più le generazioni più giovani. I liquori, infatti, sempre all’interno del mondo dei grossisti, sono cresciuti di quasi il 38% sia rispetto il 2019 che il 2021.
Interessante evidenziare come, sempre dai dati presentati da Progettica, il valore totale del vino nel canale horeca nel 2022 è stato di oltre 753 milioni di euro per un volume di circa 1,5 milioni di hl. Ma ancor più importante rilevare l’evoluzione del valore a collo (cartone da 6 bottiglie da 0,75 l) del vino confezionato, passato da 27,74 euro del 2018 a 30,88 euro del 2022. Tradotto, significa che si è passati da un valore medio di bottiglia acquistata dall’horeca attraverso un grossista di 4,6 euro nel 2018 a 5,2 euro nel 2022.
Un dato che sale ulteriormente se osserviamo i dati specifici degli 85 distributori inseriti all’interno di CDA che, nel 2022, hanno registrato un prezzo medio per il vino confezionato (0,75 l) di 7,5 euro.
Nelle vendite di vino (sell-out) dei soci distributori di CDA, sono coinvolti i brand di 1.904 aziende vitivinicole rappresentanti di qualsiasi tipologia e dimensione.
Oggi, alla luce di questi ultimi dati (e altri che presenteremo a breve), viene da chiedersi se non è il caso che il settore vitivinicolo italiano trovi momenti di confronto più serrato e concreto con il mondo dei distributori, che rappresentano un segmento sempre più strategico per la filiera del vino del nostro Paese.