Evoluzione è il filo conduttore che ci accompagna in questa intervista ad uno dei più grandi produttori storici della Valpolicella, Sandro Boscaini, presidente di Masi, conosciuto dai più come Mister Amarone.
Evoluzione è sicuramente un termine che accompagna anche la storia di Masi dal 1700 ad oggi: la capacità di una azienda famigliare di sapersi adattare alle vicende della vita, della società e dell’economia e che ha saputo consegnare al ventunesimo secolo una azienda forte e sana, “strutturata e flessibile”, come la definisce lo stesso Boscaini.
Un vino emblematico che racconta una parabola ascendente di successo è il Campofiorin, alla cui creazione nel lontano 1964 ha contribuito un giovane Sandro Boscaini, appena chiamato in azienda dal padre Guido. Campofiorin, sempre fedele a sé stesso, è ora più vicino al gusto odierno con la tradizionale etichetta che rappresenta l’eredità del brand rinnovata, ma sempre legata alla storica cornucopia ma con un tocco contemporaneo.
“In quasi 60 anni il Campofiorin ha creato una vera e propria categoria, quella dei vini Supervenetian, diventandone il leader indiscusso, bandiera del made in Italy” esordisce Sandro Boscaini.
Partiamo dunque dal Campofiorin, signor Masi, il vostro vino icona: come è nato e perché ha avuto da subito tanto successo?
In un vino ci si deve accertare che esista il suo logotipo. Quello del Campofiorin è il suo posizionamento intermedio tra due prodotti storici e conosciuti nel mondo: il Valpolicella con la sua bella semplicità, bevibilità e cordialità e la maestosità dell’Amarone.
Campofiorin nacque da un’intuizione semplice e geniale di mio padre, Guido, e di Nino Franceschetti: rifermentare il miglior vino da uve veronesi sulle vinacce dell’Amarone, per ottenere un rosso ricco di aromi e struttura. Fu l’origine del Ripasso e di una nuova categoria dei vini veronesi.
Ricordo che mio padre mi diceva di aver provato ad usare un vitigno internazionale, il Cabernet, come si usava all’epoca, ma il vino perdeva tutte le sue grazie. La Corvina regala quel sentore di ciliegia fresca e appena matura, che rende la Valpolicella unica nel mondo.
Così ha trovato nella strada della tradizione dell’appassimento un modo non convenzionale per rendere il Valpolicella apprezzato nel mondo al pari dei SuperTuscans.

Il Valpolicella non aveva una grande nomea nel mondo in quel periodo: perché?
Ricordo di uno dei miei primi viaggi negli USA: nella marea di etichette di Valpolicella sugli scaffali spiccava il prezzo basso, era un vino poco costoso e dunque, nonostante fosse conosciuto, la sua reputazione era bassa. Il Campofiorin si è imposto subito perché si è proposto con quella che ha correttamente definito Veronelli: “la rinata autorevolezza del Valpolicella”. Si differenziava, però, dagli altri grandi vini nati nello stesso periodo, Sassicaia e Tignanello ad esempio, per il prezzo: costava quanto un vino rosso normale, era ed è rimasto un vino assolutamente accessibile, pur nella sua grande qualità.
Eravamo nella seconda metà degli anni Sessanta, una società in pieno boom economico, la nascita del consumismo e di una grande quantità di oggetti rimasti nella storia come la Vespa, le prime lavatrici ed elettrodomestici… Il Campofiorin è nato in questo contesto e diverse ragioni sociali ed economiche l’hanno reso il vino giusto nel momento giusto.
Il Campofiorin si è evoluto nel tempo, conservando sempre la sua identità unica, così ha fatto Masi: cosa ha cambiato la scelta di quotarla in borsa?
Io penso che sia una scelta che dovrebbero fare in tanti in Italia. Speravo infatti che dopo la nostra decisione, ci avrebbe seguito più di una azienda italiana, invece l’Italia del vino soffre di debolezza strutturale. La nostra caratteristica è la presenza di belle aziende famigliari, ma pecchiamo di nanismo.
Non c’è dubbio che la famiglia fa le cose in modo più artigianale, dà un’idea di unicità e genuinità. Tutti noi viviamo sui vigneti ereditati da nostro padre, o nonno, nel mio caso trisavolo, ma la dimensione è fondamentale per strutturarsi.
Oggi è sempre più necessaria la struttura altrimenti non abbiamo la forza di affrontare la vastità, la profondità e le novità del mercato. E per fare strutture occorre denaro.
Dal 1700 ad oggi, dalla famiglia ad una struttura manageriale… che azienda è oggi Masi?
Oggi siamo una azienda ultrastrutturata con le persone giuste che fanno il lavoro giusto. Siamo presenti in 140 Paesi al mondo e ci sentiamo portatori della cultura del vino italiano. Senza pensare di peccare di presunzione, in Svezia il primo Amarone l’ho portato io.
Parlando di evoluzione dei mercati: i numeri dicono che c’è un rallentamento dei consumi…
Non dobbiamo preoccuparci, ma conoscere attraverso una attenta analisi della situazione.Ci sono dei fenomeni che non dobbiamo temere perché valgono per un breve periodo, come il “destocking” generalizzato dovuto al costo del denaro a cui stiamo assistendo in questo momento.
Io propongo di distinguere le cose di estrema contingenza e tamponabili nel breve da cose più radicali.
Un esempio di qualcosa di più strutturale è legato ai cambiamenti degli stili di consumo. I nostri enologi hanno sempre lavorato per mettere qualcosa di più nel vino (colore, tannino, alcol, legno…), oggi siamo ad un punto in cui la tendenza è diventata un vino meno impegnativo. Ai consumatori piace bere casual, non seguono i tabù di abbinamento.
E per quanto riguarda un evidente calo nel consumo dei vini rossi?
Stiamo assistendo ad una indubbia tendenza verso i vini bianchi e le bollicine. Di fronte a ciò, noi produttori dobbiamo essere avveduti al punto tale da dare prodotti che il mercato sa apprezzare: dunque essendo più flessibili e pluricanale con un portfolio allargato e modulabile. Masi nasce come una azienda della Valpolicella, specializzata in vini rossi, ma nel tempo abbiamo prima introdotto gli altri vini veronesi e poi ci siamo allargati sul Triveneto, che è per noi il nostro terroir culturale.
Masi ha scelto di investire sui consumatori finali e di aprire le porte dell’azienda in modo sistematico. A breve sarà anche pronta la nuova ed innovativa struttura per l’accoglienza a Gargagnago…
La nostra è stata una scelta dogmatica. Già dal 1992 siamo aperti con la tenuta Serego Alighieri a Gargagnago, ma da quando abbiamo preso la strada della finanza, ci siamo preposti tre pilasti per il futuro sviluppo: la crescita organica, l’acquisizione di nuove aziende e l’apertura al consumatore finale. Oggi non siamo più solo noi a voler raccontare la nostra cultura d’impresa e di prodotto, ma assistiamo alla grande voglia di conoscere dei consumatori. Per questo abbiamo sette punti Masi Wine Experience aperti, dove il winelover può entrare nel mondo Masi a 360 gradi.
