La filosofia di Giannitessari ruota attorno al rigoroso rispetto per i vitigni autoctoni, la sostenibilità e tre territori vocati. L’approccio sperimentale ma fortemente pragmatico ha portato l’azienda a produrre vini originali, eleganti ed affascinanti: i bianchi di Soave, i rossi equilibrati dai suoli calcarei dei Colli Berici e gli spumanti dei Monti Lessini e del suo vitigno principe, la Durella.

Ne abbiamo parlato con Valeria Tessari (V), specialista vendite e marketing e Gianni Tessari (G), titolare e fondatore dell’azienda.

Quali sono i tratti peculiari ed identitari di Giannitessari e quali sono le pratiche e la filosofia produttiva che vi distinguono chiaramente dalla concorrenza?

V: Penso che la caratteristica che più ci contraddistingue siano proprio le tipologie di vini che produciamo. La scelta iniziale di focalizzarci su varietà autoctone del nostro territorio che sono sicuramente più difficili da raccontare e trasmettere al consumatore finale, secondo me, è proprio quello che ci ha premiato in quanto, anche se richiede più tempo, questi territori hanno molto da raccontare e ci rendono riconoscibili.

G: I terreni su cui lavoriamo e le uve che ne ricaviamo; sto parlando di Soave per i bianchi, Lessini Durello per gli spumanti e Colli Berici per i rossi. Sono le variabili e le potenzialità dei territori e delle varietà che ci consentono di applicare uno stile di vinificazione che, con semplicità e senza fronzoli ci fa portare in bottiglia solo ciò che viene dalle uve, perché in modo semplice, ma non banale, valorizziamo la natura e la predisposizione di ogni prodotto senza forzature o compromessi non perché non ne saremmo capaci, ma semplicemente perché non è necessario. Questo sicuramente ci caratterizza. Come ultimo punto la mia ricerca infinita di novità, con sperimentazioni e intuizioni che sono molto personali e difficilmente replicabili da altri.

Quali sono le motivazioni che hanno spinto il vostro interesse e la vostra ricerca verso alcuni vitigni resistenti (PIWI) come il Solaris? Il mercato si è dimostrato aperto a queste proposte alternative?

V: Ricordo ancora quando nel 2018 abbiamo lanciato la nostra prima annata di Rebellis, prodotto con 100% uve Solaris. La reazione è stata di immediato stupore da parte di clienti e giornalisti, e c’era molto interesse su questo tema. Ad oggi vedo che il semplice interesse si è trasformato in qualcosa di molto più concreto. Il nostro Rebellis è diventato da “esperimento” a vero e proprio prodotto che ha anche un importanza commerciale nel nostro portfolio.

G: La ricerca, la curiosità, la sperimentazione e l’intuizione di cui parlavo sopra hanno fatto nascere il progetto, rafforzato dal fatto che fosse anche un passo in direzione della sostenibilità ecologica per la riduzione degli interventi in campo. Siamo sempre alla ricerca in tutti gli ambiti di prodotti più sostenibili e queste uve PIWI sono per me una rappresentazione assoluta in questa direzione. Ad oggi inoltre abbiamo imparato a conoscere meglio la materia prima ed a lavorare con questa tipologia di uva.

Un argomento di discussione riguarda la longevità dei “Piwi” come il vostro Rebellis, spesso considerati vini da consumare in tempi brevi. Qual è la vostra opinione in merito?

V: Credo che la nostra scelta di tenere in vendita tutte le annate sia una grossa novità per il mondo del vino, vogliamo infatti che chiunque abbia dei dubbi sulla longevità di queste tipologie di vini non debba impegnarsi troppo, tenendo in cantina il vino per tanti anni per poter fare questa prova. Inoltre è diventato anche un “giochino” divertente per i visitatori che passano in cantina a fare degustazioni e si possono improvvisare degustatori.

G: Quando abbiamo iniziato quella della longevità è stata una grossa domanda anche per noi, e da buon “se non vedo, non credo” abbiamo deciso di sperimentarla in prima persona. Confortati dal valore della materia prima e sulla base del tipo di vinificazione applicato, che prevede anche una fermentazione con le bucce, abbiamo azzardato una sfida per gli scettici sull’argomento. È per questo che abbiamo attualmente in vendita a listino tutte le annate fino ad ora prodotte. 2017, 2018, 2019, 2020 e 2021 sono disponibili per tutti proprio per vedere con i propri occhi e soprattutto con il palato l’evoluzione e la longevità del vino. Come dicevo prima “provare per credere”.

In Italia non c’è ancora una data per il possibile inserimento dei Piwi nei disciplinari delle DOC. C’è chi è diffidente verso queste varietà e le reputa una minaccia per la tradizione enoica italiana. Qual è la vostra visione?

V: Credo che il punto fondamentale sia quello di far capire ai consumatori che questi vitigni non hanno nulla da invidiare a quelli tradizionali. Nella nostra idea, comunque, il nostro Rebellis è stato pensato come un vino ribelle, totalmente diverso dagli altri e che non ha sostituito o eliminato nessuna delle nostre altre etichette. Lo abbiamo voluto raccontare proprio dall’etichette, tra gambe di ballerina che danzano insieme, eleganti e classiche, ma con una differenza, la ballerina centrale balla con delle scarpe da ginnastica arancioni, proprio a rappresentare il vino stesso.

G: La questione delle DOC e dei relativi disciplinari è molto delicata ed è anche difficile generalizzare, alcune sono più permissive altre meno, ognuna ha le sue motivazioni, storia, tradizioni. Secondo me ogni Denominazione dovrebbe valutare al suo interno quale visione seguire. Quello che si dovrebbe evitare è avere una visione ideologica del tema e approcciarlo invece con una logica di efficienza e funzionalità. Le cose cambiano, il clima cambia, la sensibilità a certi temi cambia considero un errore rifiutare il cambiamento anche se lo sarebbe altrettanto rinunciare alla identità territoriale. So di avere dato una risposta “diplomatica” ma, come detto sopra, qualsiasi risposta “netta” rischia di essere ideologica e non razionale come invece vuole essere il nostro modo di produrre.

Il termine francese “terroir” viene spesso erroneamente utilizzato come sinonimo di territorio o terreno. Ma con “terroir” si fa riferimento alla compresenza, in una zona circoscritta, di elementi che comprendono le peculiarità climatiche, il suolo, il vitigno e l’aspetto umano (storia, cultura, tradizione). Quali sono i terroir che avete individuato nelle vostre zone di produzione e che potenzialità hanno?

V: Il nostro motto è “tre territori, una sola passione” questo perché le zone che ci rappresentato sono tre: Soave, Lessinia e Colli Berici.

G: Ognuna ha una sua identità ben distinta dalle altre, non ci sono sovrapposizioni varietali o sono molto limitate, i suoli e i climi sono diversi. Il nostro ruolo è stato quello di evidenziare e valorizzare le singole potenzialità, compito che si è dimostrato abbastanza facile perché per i Monti Lessini l’abbinamento con la varietà regina che è l’uva Durella porta inevitabilmente a privilegiare la spumantizzazione di alta qualità. La storia, le tradizioni e inclinazione territoriale della zona Soave non lascia spazio alla scelta di vinificare vini bianchi in tutte le loro espressioni. Infine, i Colli Berici da sempre sorgente di rossi dalla forte personalità ci sta dando forti soddisfazioni in questo ambito, soprattutto con l’autoctono per eccellenza che è il Tai Rosso.

In che modo l’utilizzo delle anfore ha influenzato la vostra produzione? Quali sono i vantaggi di questa scelta e quali le sfide da affrontare?

V: La scelta dell’affinamento in anfora è, per il momento, utilizzata solo nel vino Rebellis, questo perché cercavamo un materiale diverso di maturazione che potesse andare incontro a questo vino e a questa tipologia di uva.

G: La caratteristica della terracotta, materiale di cui è composta l’anfora, è infatti una porosità tale che permette al vino di avere uno scambio con l’ossigeno, ma senza sentori di legno che cedono solitamente le botti, uno stile che considero vincente per questa etichetta.

Focalizzandosi sul mercato internazionale del vino, quali sono le criticità che ti preoccupano maggiormente e quali le prospettive più stimolanti che intravedi attualmente?

V: La risposta sembrerà un po’ strana, ma in realtà il punto a sfavore e quello a favore sono lo stesso e cioè il fatto di lavorare con uve considerate ancora molto di nicchia. Quando mi trovo a fiere internazionali o ad incontri con i miei clienti per presentare i miei vini la preoccupazione che più mi viene espressa dalle persone interessate è: come posso vendere questo vino se nessuno lo conosce? Nessuno conosce quest’uva perché dovrebbe acquistarla? La mia risposta e, secondo me, quello che ci dà un grande vantaggio è che questi vini hanno molto da raccontare, hanno dietro di loro una storia, di persone, tradizioni e territorio.

G: I nostri non sono vini “da catalogo”, sono vini che vanno raccontati e che, dopo un primo sforzo iniziale di storytelling, possono fare la differenza proprio per la loro unicità. Per quanto mi riguarda, dal punto di vista produttivo, è sempre stimolante cercare un compromesso tra quello che chiede il mercato e le mie idee personali. Anche se lo ammetto sono sempre leggermente di parte.

Una delle destinazioni export in cui siete presenti è la Norvegia, un mercato complesso, caratterizzato da una burocrazia consistente e da consumatori molto attenti al prezzo. Quali sono le vostre strategie su questo mercato e quali sono i vini più indicati per il consumatore norvegese?

Il mercato norvegese come la maggior parte del Nord Europa lavora con il sistema del monopolio e cioè un sistema di acquisti e controllo della vendita del vino e degli alcolici gestito dallo Stato. Inizialmente non lavorando appunto con i vini e le denominazioni più blasonate non è stato facile entrare nel mercato, il monopolio infatti propone di anno in anno dei “tender”, cioè dei concorsi in cui vengono richiesti vini con determinate caratteristiche. La nostra strategia è stata quella di trovare innanzitutto un importatore che si innamorasse dei nostri prodotti e della nostra filosofia e che si prendesse in carico la strategia della vendita Horeca, una modalità di importazione che prevede che i vini invece di finire direttamente negli scaffali dei negozi del monopolio siano venduti direttamente dall’importatore ad operatori del settore, un po’ quello che succede in tutto il resto d’Europa ma che in Norvegia non è la norma. Al momento lavoriamo solamente con vini fermi in questo mercato ma il nostro obiettivo, con tempo e pazienza, è proprio quello di poter far conoscere e apprezzare il Durello.

Quali sono i progetti e gli obiettivi futuri che Giannitessari si propone di perseguire?

V: Quest’anno festeggiamo i 10 anni di nascita del marchio Giannitessari e credo che questo sia già un piccolo traguardo. Sicuramente nel breve termine il nostro obiettivo è quello di consolidarci sempre più come brand di qualità e territorialità.

G: Un piccolo sogno nel cassetto? Riuscire a portare il Lessini Durello Spumante tra i big nel mondo per quanto riguarda i vini spumanti metodo classico.