La nostra lettura dei mercati internazionali passa anche e soprattutto attraverso la lente delle aziende che rappresentano l’Italia del vino nel mondo. Abbiamo avuto il piacere di confrontarci con Josè Rallo, Amministratore Delegato di Donnafugata, azienda che presidia da sempre il mercato statunitense.

Il mercato USA si conferma determinante nel disegno del commercio mondiale del vino: quali tendenze di mercato, dal suo osservatorio, stanno maggiormente interessando questo mercato?

Per il vino italiano gli Stati Uniti rappresentano un mercato tanto grande quanto competitivo. È infatti un universo con tante sfaccettature, sia dal punto di vista della distribuzione che del rapporto tra i consumatori e il vino. 

Per questo motivo, è un mercato di cui è importante riconoscere le peculiarità e intercettare i trend.

Una tendenza che si conferma determinante è il forte interesse per i vini da vitigni autoctoni. Il consumatore americano è animato da tanta curiosità che lo ha portato a ricercare, conoscere e sempre più apprezzare la straordinaria diversità di territori e vitigni italiani.

Anche la Sicilia, in primis con vitigni quali Grillo e Nero d’Avola, si è guadagnata notevole attenzione da parte del trade e dei consumatori: un risultato frutto del lavoro dei produttori siciliani e del loro fare squadra, con Assovini dai primi anni ’90, e con il Consorzio Doc Sicilia da oltre 10 anni.

Un’altra tendenza che emerge è la premiumizzazione che caratterizza le scelte soprattutto dei consumatori over 40, con alta propensione alla spesa per vini di qualità. 

Questi trend ci spingono, da un lato, a valorizzare il nostro patrimonio di biodiversità per produrre vini davvero distintivi; dall’altro, a investire in comunicazione per incrementare la conoscenza del brand e supportarne un posizionamento sempre più alto.

In termini di prodotto vi sono a suo avviso alcune tipologie che stanno mostrando un particolare appeal per il consumatore USA? 

Il consumatore più attento ricerca innanzitutto l’unicità, quel quid che emoziona e rende memorabile l’esperienza della degustazione e della condivisione di un vino.

Oltre che alle varietà autoctone, l’unicità di un vino è fortemente legata a territori di particolare distintività: negli USA, per esempio, è straordinariamente cresciuto l’interesse per i cosiddetti “volcanic wines”.

In Sicilia, l’Etna e Pantelleria sono i territori d’origine di vini che incarnano perfettamente questa tipologia, con vini di pregio che il mercato ci richiede sempre di più. 

Pensando invece al segmento dei giovani consumatori che iniziano ad accostarsi al vino di qualità, la tipologia più apprezzata è quella che esalta il frutto e la facilità di beva: alcuni vini fortemente identitari, come il nostro Frappato ed anche il Cerasuolo di Vittoria, si stanno rivelando perfetti anche per approcciare i Millennial e la Zed-generation.

Parlando di segmenti di prezzo quali preferenze e quali tendenze sta esprimendo attualmente il mercato USA?

Possiamo individuare una fascia di giovani consumatori, di età compresa tra i venticinque e i trentacinque anni, sensibili alla leva prezzo, i quali prediligono vini con un prezzo a scaffale entro i 19,90 dollari.

I consumatori over 40, con disponibilità di reddito superiori, sono invece i protagonisti di quella premiumizzazione di cui parlavo prima. Sono loro gli acquirenti soprattutto di vini premium, tenendo fede al motto di “bere meno e bere meglio”. Quindi la variante socio-demografica mostra grande impatto sulle decisioni di acquisto. 

Guardando al nostro assortimento negli USA, Donnafugata ha soltanto 2 vini appena sotto i 20 dollari, mentre tutte le altre 14 referenze distribuite nel mercato, si collocano nel segmento premium e super-premium: dai vini dell’Etna al rosso Mille e una Notte, fino al Ben Ryé Passito di Pantelleria.

Guardando al vino italiano nel suo complesso credo che noi produttori, piuttosto che puntare a crescere nei volumi esportati, dobbiamo impegnarci per affermare il valore dei nostri vini: l’obiettivo strategico è quello di innalzare il prezzo medio del nostro export, ancora di molto inferiore a quello dei vini francesi. 

Come dovrebbe essere a suo avviso costruita una strategia di successo nei confronti del mercato americano? Quali sono gli step vincenti nel go-to-market USA da parte di un produttore italiano?

Per affrontare il peculiare “three-tyer system” americano, penso possa individuarsi una prima fase nella quale il produttore deve innanzitutto lavorare sulla distribuzione, farsi guidare dall’importatore, concentrandosi solo su alcuni Stati target, in quanto si tratta di un mercato troppo vasto per aggredirlo in modo univoco. 

Successivamente si può puntare a raggiungere il consumatore finale, mettendo in campo un ampio mix di attività di trade marketing e comunicazione. È molto utile dare visibilità al prodotto in eventi promozionali così come niente è più efficace del consiglio dell’enotecario o del winelover nella propria cerchia di amicizie: il prodotto deve essere presente nel mercato, deve essere provato e apprezzato, alimentando il circolo virtuoso di domanda e offerta. 

Sviluppare poi una relazione con giornalisti, opinion leader e professionisti del settore è un passaggio obbligato: recentemente abbiamo deciso di ingaggiare un ufficio stampa a New York, che copre anche l’area californiana e la Florida.

La nostra strategia si è evoluta nel tempo anche nell’approccio alla ristorazione: se molti anni fa eravamo principalmente focalizzati su quella italiana, che peraltro negli ultimi quindici-venti anni ha incrementato di molto la qualità media, oggi crediamo che la vera frontiera dell’on-premise sia la ristorazione internazionale. 

Uno stretto vincolo di pairing tra vino italiano e cibo italiano rischierebbe infatti di limitare le nostre opportunità. Oggi, invece, siamo molto stimolati dalla possibilità di abbinamenti sorprendenti: le sfiziose chicken wings, da abbinare ai nostri bianchi freschi e piacevoli, oppure il tradizionale hamburger di manzo, che si sposa bene con un rosso dal gusto internazionale, che sia caratterizzato da grande equilibrio tra struttura, piacevolezza e persistenza. 

Un altro compito che ci siamo prefissati è quello di raggiungere i consumatori con le strategie più adatte: la comunicazione digitale, per esempio, ci ha dato una grande mano per incrementare la nostra notorietà ed il posizionamento di marca.

La comunicazione attraverso i social, però, richiede un grandissimo impegno di “produzione dei contenuti” e considerata l’attenzione che vi mettiamo, abbiamo la sensazione di essere diventati “gli editori di noi stessi”: un compito sfidante ma che ci gratifica molto, considerati i risultati raggiunti. Siamo infatti la quarta azienda più “instagrammata” al mondo, prima tra le italiane e davanti a tutte le francesi, con i nostri 65.445 hashtag: a dirlo è stata CV Villas, agenzia internazionale con sede a Londra, specializzata nel turismo di lusso.

Per un’azienda come la nostra passare da una fase all’altra del go-to-market ha richiesto decenni: una strategia che è stata supportata da una visione appassionata e da tanti investimenti pianificati con un orizzonte temporale molto ampio. In tal senso, il nostro essere un’azienda familiare è stato certamente un fattore competitivo di successo.