Il mercato del vino attraversa un momento di particolare variabilità: Daniela, qual è la sua lettura di questo periodo, che non offre molti elementi di continuità con il passato?
Il 2023 è un anno complicato, si spendono tante energie, a cominciare dalle vigne dove il cambiamento climatico si è fatto sentire come non mai e che ci impone una riflessione su come costruire il futuro della nostra viticoltura. I recenti dati che leggiamo ci raccontano, poi, dell’export del vino italiano che ha virato in territorio negativo. Questa notizia ci priva di un’importante certezza. Infatti, la crescita interrotta degli ultimi due decenni sui mercati internazionali ha trainato tutto il settore, facendo bene anche alle aziende meno propense all’internazionalizzazione.
Quali pensa siano le certezze, o i valori, su cui basare le proprie strategie imprenditoriali di lungo periodo in questo contesto incerto?
Nei momenti di cambiamento bisogna orientare le proprie strategie di modo che siano un mix di consapevolezza della propria identità e capacità di andare oltre la confort zone più di quanto abbiamo sempre fatto.
Per essere più chiara, non dobbiamo rinunciare alla ricchezza dei tanti vitigni autoctoni, la nostra peculiare identità come Paese produttore, per quanto tutte le persone che lavorano in questo mondo sappiano come sia una sfida quotidiana comunicare, promuovere questa importante eredità. Talvolta, infatti, vedo profilarsi il rischio di pensare di puntare sulla semplificazione, seguendo gli attuali trend di mercato. È indubbio che la fredda realtà dei numeri conti, ma il vino italiano è diventato uno degli emblemi del made in Italy perché ha avuto anche un incredibile numero di piccole, medie aziende capaci di preservare storie, territori e di andare per il mondo come novelli Marco Polo.
Questa capacità visionaria, un misto di resilienza e sogno, è stata comune nelle generazioni che ci hanno preceduto ed è bene non perderla, per quanto serva disporre di adeguate competenze professionali e risorse economiche. Penso, però, che l’impegno quotidiano ha consentito di non disperdere l’arte di fare vino anche di quei territori meno rinomati, taluni dei quali, quando sono emerse nuove opportunità di mercato, hanno potuto e saputo coglierle.
Quali crede siano, in questo contesto, le caratteristiche di un brand e di un prodotto prospetticamente di successo?
Parto da una premessa. La sfida per noi tutti è intercettare le nuove generazioni, curiose di sperimentare, di fare nuove esperienze rispetto, ad esempio, a noi boomers, che tendiamo a dare maggiore importanza alle certezze della notorietà della marca, dei premi raggiunti.
Un brand, un prodotto di successo deve, dunque, lavorare su uno storytelling più incentrato sull’autenticità: spazio, dunque, a raccontare il proprio lavoro, le scelte fatte in vigna e in cantina, in altre parole il vero mondo che c’è dietro, meglio dentro una bottiglia di vino.
Rispetto, poi, alle caratteristiche che deve avere un prodotto di successo, spero solo che la loro ricerca non si tramuti mai nella semplice rincorsa a emulare le denominazioni più popolari, rinunciando a interpretare vitigni e territori. È questo mix che rende, infatti, affascinante il vino italiano, espressione di uno stile di vita, che va oltre le caratteristiche organolettiche.
Quali tendenze di consumo crede stiano maggiormente influenzando l’attuale contesto di mercato?
Il consumatore muta pelle rapidamente e, spesso, le aziende faticano a star dietro a queste trasformazioni. C’è, indubbiamente, un approccio più easy, forse farei meglio a dire alternativo da parte dei giovani. Dobbiamo, dunque, lavorare per padroneggiare adeguatamente gli strumenti di comunicazione e avvicinare così i consumatori della generazione Z. Anche fra gli scaffali non mancano le novità, con esposizioni del prodotto che un tempo avremmo descritto come controcorrente, non più, dunque, solo su base regionale o per vitigno, ma secondo l’esperienza: vini da aperitivo, vini da dessert, tanto per fare degli esempi. Negli States ho visto sempre più frequentemente spazio a sezioni dedicate alle produttrici piuttosto che ai vini biologici. Parlando più nello specifico di trend di consumo, leggo della buona crescita di bianchi fermi, ma anche dei rosati. Mi colpisce la contrazione dei vini rossi, che può essere un’ulteriore sfida per il vino italiano, che ha tante denominazioni importanti. Pur non producendole, non sono affatto sorpresa, invece, dell’importanza delle bollicine. Se dovessi sintetizzare, l’esperienza mi dice che cresce la voglia di un approccio un po’ più spensierato, anche se poi, nei corsi di sommelier, trovi sempre più giovani. Questa polarizzazione, invece di spaventarmi, mi fa, però, ben sperare che si possa lavorare per valorizzare il vino italiano.
Come crede che il mondo del vino possa reagire nei confronti della crescente concorrenza di “nuovi” prodotti?
Sarà perchè sono nata in una terra dove la cultura del vino affonda le sue radici in tempi antichissimi e che ha visto trasformazioni in termini di gusto, ma voglio credere che noi produttori sapremo cogliere le sfide di questi tempi.
Parlando ad esempio di vini dealcolati e low alcol, intercettano un target di consumatori più sensibili al tenore di alcol dei prodotti che bevono. Ciò detto, vedo, però, sempre più etichette con gradazioni alcoliche più basse che in passato, sia pure compatibilmente con lo stile di prodotto e con i disciplinari. Questa tendenza mi sembra essere l’espressione della capacità di un settore che viene incontro a nuove richieste del mercato, senza, però, stravolgere l’identità del vino italiano.
Se spostiamo l’attenzione ai readytodrink, la riflessione è più complessa. Penso, però, che la premessa resti la voglia di cocktail, specie da parte della generazione Z, che trova in queste bevande sempre più packaging allegri e gusti di prodotti dove l’alcol si accompagna a un’opulenza di ingredienti. Noto che molti, per contrastare questo fenomeno, spingono sulla mixology. Seppure fosse una ricetta vincente, penso però che la nostra sfida resti, invece, come far considerare ai giovani altrettanto alla moda bere un buon calice di vino italiano. Da Nord a Sud abbiamo tante opportunità e non mancano quelle che strizzano più l’occhio ai giovani. Non so, poi, se serva modernizzare anche i packaging per rendersi più attrattivi, so, però, che, se il sistema vino italiano riesce a vincere questa competizione, a trovarci il modo di convivere, tutto il settore ne uscirà più forte.