Torniamo a parlare di influencer marketing, e quindi della comunicazione che viaggia sui social ad opera degli influencer che, attraverso tecniche di passaparola digitale, mirano ad accrescere la visibilità di un brand, di un prodotto, di un evento.

Lo dichiariamo subito, per sgomberare il campo da equivoci: è impossibile parlare in modo generico di influencer marketing, in quanto questo termine oggi accomuna tecniche e profili di digital marketing molto diversi tra loro. E non tutti sono in grado di influenzare in modo significativo la visibilità di un marchio o di un’azienda.

Pubblicare post, storie, dirette social non rende automaticamente dei veri influencer coloro che lo fanno: per letterale traduzione, l’influencer deve essere in grado di influenzare comportamenti e scelte di un certo target di destinatari; deve quindi trattarsi di personaggi popolari nella rete, dotati di una community di riferimento che gli riconosce fiducia e senso di appartenenza. Ma questo non basta.

La numerosità dei partecipanti alla community non garantisce l’efficacia dell’azione di marketing: per incidere sensibilmente sulla visibilità di un brand occorre essere soggetti attivi di strategie di comunicazione e marketing; strategie che si basano sugli obiettivi che la comunicazione vuole raggiungere.

Oggi molte aziende ricorrono ad influencer molto seguiti, sperando utopicamente che la vastità della community raggiunta possa garantire, di per sé, la promozione del proprio brand. Ma nessuno strumento di comunicazione, nessun amplificatore di visibilità può funzionare se non sono chiari gli obiettivi della comunicazione.

La community è uno strumento, basato sulla fiducia nei confronti dell’influencer o, spesso, sul desiderio di imitare il suo stile di vita. Ma questa identificazione non può sopperire a una debolezza, o all’inesistenza, del messaggio comunicativo.

Spesso le aziende alle quali domandiamo “cosa comunicate” ci rispondono “siamo sui social”: è un malinteso che occorre smantellare in modo deciso, perché nasconde l’ingenua convinzione che il messaggio che si trasmette sia indifferente dagli obiettivi che vogliamo raggiungere.

L’assenza di contenuto, diretta conseguenza di una debole consapevolezza della propria unicità, e quindi di un’inefficace pianificazione della strategia di marketing, si traduce in una comunicazione banale, ripetitiva, scarsamente identitaria; che è il limite che si riscontra nei contenuti di alcuni blogger, Instagrammer, Youtubers, che pur postando con regolarità e interagendo in modo continuo con i propri follower, non riescono ad andare oltre la freschezza del messaggio e delle immagini che condividono.

Il mercato del vino è troppo vasto, troppo esigente e troppo smaliziato perché si possa pensare che fotografare le proprie bottiglie in tutte le luci, a tutte le ore del giorno, con le sfumature più suggestive, e con il sottofondo della musica giusta, equivalga ad attuare una strategia di marketing digitale.

Il suggerimento per le aziende è quello di ricondurre le azioni di marketing digitale all’interno di strategie comunicative definite, che tengano conto della specificità del proprio prodotto, del proprio territorio, della propria identità aziendale e all’interno delle quali il digital marketing sia uno degli strumenti con cui trasmettere il proprio messaggio, ma non l’unico.