Conosco la famiglia Castagnedi da circa trent’anni, praticamente dall’inizio della sua avventura produttiva nella bella e vocata Val di Mezzane, la propaggine più ad est della Valpolicella.
Quello che Tenuta Sant’Antonio ha raggiunto in tre decenni potrebbe apparire incredibile, ma solo a coloro che non conoscono i quattro fratelli Castagnedi (Armando, Tiziano, Paolo e Massimo) che rappresentano un esempio straordinario di competenza e determinazione nella loro attività. Un esempio eccellente di azienda famigliare che, però, ha compreso fin da subito l’importanza di avere una gestione moderna, capace di conciliare al meglio i fattori produttivi a quelli comunicativi e commerciali.
Da molti anni, quindi, Tenuta Sant’Antonio è uno degli osservatori privilegiati per comprendere non solo le tematiche legate alla produzione ma anche le dinamiche dei mercati.
In quest’ultima direzione, non credo di esagerare affermando che Armando Castagnedi sia uno dei maggiori esperti italiani di export management con una conoscenza approfondita di molti mercati internazionali che presidia da tempo con una cura quasi maniacale.
Per questa ragione, intervistare Armando, come portavoce della Famiglia, significa non solo comprendere meglio le scelte di Tenuta Sant’Antonio, ma anche di capire qual è la reale situazione dei mercati del vino e le migliori strategie per affrontarli.
Abbiamo superato la metà di questo 2023. Un anno complesso condizionato sia dal cosiddetto “post covid” che dal fortissimo incremento dei costi delle materie prime e anche dai drammatici risvolti della guerra russo ucraina. Siete da molti anni un’azienda fortemente coinvolta sui mercati internazionali: come state vivendo una situazione così complessa?
Come Famiglia Castagnedi siamo da sempre rivolti ai mercati internazionali e, con l’esperienza che abbiamo alle spalle, non possiamo nascondere che sia un momento particolarmente impegnativo, con molte congiunture complesse. L’incertezza è alta, con l’imprevedibilità che a volte nasconde anche dati sorprendenti: basti pensare che nel 2022 le esportazioni di vino italiano verso la Russia sono aumentate del 15,8% a valore, toccando €172 milioni.
Quello che dobbiamo cercare di evitare è, da un lato, una corsa al ribasso dei prezzi, in quanto ci porterebbe a svalutare i nostri prodotti e ridurre al minimo la marginalità, impedendoci così di avere il respiro necessario per nuove operazioni. Ed è proprio la mancanza di investimenti l’altro aspetto che dobbiamo evitare, perché solo grazie a un continuo lavoro per migliorare sia a livello di prodotto che di servizi connessi potremo rimanere competitivi.
Le nostre performance ci indicano che stiamo consolidando gli importanti risultati conseguiti negli anni precedenti, puntando in particolare sui nostri prodotti iconici “Single Vineyards”, particolarmente apprezzati in tutto il mondo tanto da sperimentare una crescita del 10% durante lo scorso anno. Risultati possibili grazie a investimenti mirati su omnicanalità, progetti di incoming e ovviamente un lavoro in vigna e in cantina capace di garantire prodotti sempre più identitari a fronte di un efficientamento delle operazioni.
Queste azioni ci hanno permesso di guadagnare sia in valore d’azienda che in valore percepito del prodotto, nei confronti sia di critica che di cliente finale. Asset magari difficili da materializzare o da rappresentare ma chiave per i nostri obiettivi, che ci aiutano a rappresentare valori e confini d’azione dei nostri brand in modo chiaro, distinto e riconoscibile, in particolare sui mercati internazionali.
Molti dati riportano le difficoltà dei vini rossi su numerosi mercati internazionali. Voi siete tra i più autorevoli rappresentanti della Valpolicella, una denominazione che proprio nei vini rossi, a partire dall’Amarone, ha il suo DNA storico. Anche i vini della Valpolicella stanno vivendo questa crisi?
A livello macro il trend dei vini rossi può impressionare: tra il 2016 e il 2022 l’export dei rossi è calato dell’11%, secondo l’Osservatorio UIV-Vinitaly. Tuttavia, come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli. Infatti, per quanto riguarda ad esempio l’Amarone, secondo l’indagine realizzata per il Consorzio tutela vini Valpolicella da Nomisma Wine Monitor, nel 2022 i volumi si sono contratti del 7,2% ma il valore è aumentato del 4%, con le performance migliori realizzate in Italia sia a volume, +1,5%, che a valore, +7,4%.
A nostro avviso per far crescere una denominazione c’è bisogno di un grande lavoro sia a livello di territorio che di sistema, valorizzando al massimo le eccellenze affinché possano fare da traino nella fase iniziale attirando l’attenzione internazionale verso la nostra Denominazione. Inoltre, tutti noi dobbiamo attrezzarci al meglio per proporre il miglior prodotto possibile, comunicandolo in maniera adeguata, attuale e accattivante, facendoci vedere uniti e compatti come denominazione pur mantenendo tutte le sfaccettature possibili, ciascuno con il suo stile e le sue peculiarità.
Crediamo che il futuro sia rappresentato da vini capaci di esprimere il terroir e il saper fare di ogni cantina. Per noi, ad esempio, i vini Single Vineyard rappresentano ambasciatori privilegiati di un territorio unico, un trend confermato da dati che vedono aumenti in doppia cifra per i nostri vini più iconici, come l’Amarone e il Valpolicella Superiore “La Bandina” che stanno riscuotendo enormi apprezzamenti in tutto il mondo.
Dopo tanti anni credo che sia ora il momento migliore, in particolare in Veneto e nella Valpolicella, per far capire il valore del nostro lavoro. Molte guide internazionali hanno indirizzato le attenzioni sulla nostra Denominazione, sia per i rossi ma anche per i bianchi Soave DOC, e non dobbiamo in nessun modo lasciarci sfuggire questa occasione.
Si sente sempre più spesso parlare di una ricerca dei consumatori nei confronti di vini più leggeri e meno potenti. È una tendenza che avete rilevato anche nella vostra esperienza sui mercati? E se sì come avete risposto dal punto di vista produttivo?
Se per vino leggero intendiamo un vino capace di abbinare profondità a bevibilità, allora assolutamente sì, è sicuramente uno dei trend più importanti in atto. Notiamo un generale apprezzamento per vini verticali, che non guardano a concentrazione ma piuttosto all’eleganza e alla piacevolezza di beva.
Crediamo che oggi la vera arte di un vignaiolo si misuri nella capacità di condensare in un bicchiere suadente, agile ed elegante tutta la complessità, la tipicità e l’iconicità di un territorio.
Per quanto ci riguarda, i terreni calcarei che accolgono i nostri vigneti e la nostra impronta stilistica ci hanno sempre portati a realizzare vini di questo tipo, soprattutto con lo storico brand Tenuta Sant’Antonio. A cavallo degli anni 2000 ci siamo fatti temporaneamente influenzare da un trend che guardava a maggior profondità e ampiezza, ma abbiamo sempre avuto la consapevolezza che i nostri territori restituiscono mineralità e verticalità. Negli ultimi anni, partendo dai Valpolicella e sperimentando anche con il brand SCAIA, abbiamo quindi intrapreso un percorso di ricerca dell’iconicità dei nostri vini, che trovano la loro impronta digitale in un’apparente leggerezza capace di esaltare un’importanza intrinseca, un lavoro sartoriale e meticoloso e una piacevole setosità. Il trend attuale ci sta premiando e, grazie ad anni di ricerca sia in vigneto che in cantina, ci siamo fatti trovare al posto giusto al momento giusto.
Quest’ultimo decennio è stato contraddistinto anche nel mondo del vino dal tema della sostenibilità. Talvolta si ha la sensazione che sia un termine molto abusato e che i consumatori faticano oggi a comprendere concretamente quali sono le aziende che stanno seriamente investendo in sostenibilità e le stesse certificazioni non sempre appaiono sufficienti in tale direzione. Quale è il punto di vista di TSA sul fronte della sostenibilità?
La sempre maggior attenzione alla sostenibilità è un dato di fatto innegabile. basti pensare che secondo il report “Organic Wine Market Forecast to 2028” stilato da The Insight Partners, il mercato del vino biologico è destinato a raddoppiare da qui al 2028, passando da 12,47 a 24,55 miliardi di dollari, con un ritmo di crescita annuo del +12%.
Non dobbiamo però farci travolgere dal significato che viene dato alle parole: se intendiamo sostenibilità come strumento di marketing, allora non abbiamo capito niente e il significato è sostanzialmente vuoto. Consiglio di guardare alla lingua francese per avere una declinazione più pratica del concetto, in quanto il termine durabilité ci indica che ciò che facciamo deve avere la capacità di durare: dobbiamo preoccuparci di creare sviluppo in maniera armonica, senza interferenze invasive.
Per noi il significato della parola in viticoltura è questo: accompagnare la natura nel suo sviluppo, attraverso interventi pienamente compatibili con l’ambiente, la comunità e l’aspetto agronomico.
Da diversi anni collaboriamo con un partner con il quale abbiamo condiviso un obiettivo: migliorare sempre di più la qualità, senza però scendere a compromessi nei confronti della natura.
In questi ultimi due anni di difficoltà per il cambiamento climatico, innegabile e sotto gli occhi di tutti, ci siamo accorti che le nostre piante stanno reagendo autonomamente a queste difficoltà: sono più sane, la percentuale di malattie è diminuita e con essa la necessità di prodotti a supporto del suo sviluppo. Da anni lavoriamo nella convinzione che la pianta debba essere aiutata ad esprimersi al meglio senza interferenze disturbanti: in questo modo potrà durare nel tempo costruendosi un suo sistema di difesa, che in caso di necessità può essere integrato dai nostri interventi con prodotti di derivazione rigorosamente organica. Questo era il nostro obiettivo, coerente con la nostra visione del significato di “Sostenibilità”, e abbiamo osservato che secondo la nostra esperienza sta funzionando.
Voi siete state tra le prime imprese del vino italiane ad investire nei vini senza solfiti con la linea Telos, quali ad oggi i risultati che avete ottenuto, quali i mercati più interessati a questa tipologia di vini?
TÉLOS nasce come idea e progettualità già nei primi anni 2000, per capire quanto potevamo ancora una volta essere virtuosi in bottiglia dando al consumatore un prodotto pulito, iconico e allo stesso tempo durevole, che sapesse conservare nel tempo la nostra prerogativa di eccellenza qualitativa. A livello produttivo l’obiettivo era quindi quello di creare le migliori condizioni affinché la vigna e il vino avessero gli strumenti per crearsi da sé una propria difesa immunitaria, sopperendo all’assenza di solfiti con elementi intrinsechi.
In cantina, come in vigna con i suoi elementi, abbiamo portato avanti, a partire dal 2010, un progetto di ricerca finalizzato al non utilizzo di solfiti e di prodotti di sintesi e di derivazione animale, usando quindi solo prodotti di derivazione organica vegetale. Grazie all’ausilio della più moderna tecnologia, che negli ultimi 15 anni ha fatto passi da gigante, abbiamo potuto ottenere un vino iconico e al contempo assolutamente sostenibile per il consumatore e per l’ambiente.
Il progetto TÉLOS è oggi premiato dalla critica con punteggi importanti anche dalle principali guide italiane ed estere. In termini di mercati esteri, gli operatori stanno rispondendo molto bene: siamo in fase di espansione e ora siamo alla ricerca di un importante partner per gli USA, dove vogliamo entrare con la stabilità e la consapevolezza che cercavamo da anni per un mercato così importante e maturo. Nel frattempo, primo su tutti, il Giappone ci sta riconoscendo questo progetto importando tutti e quattro i vini della linea: un risultato che, ottenuto in un mercato così esigente e attento alla qualità, vale per noi lo sforzo di tutti questi anni.
Oltre all’ottimo riscontro commerciale, siamo particolarmente orgogliosi del carattere pionieristico di questo percorso, che ci ha permesso di trasferire le competenze acquisite anche sugli altri vini a brand Tenuta Sant’Antonio e SCAIA. Infatti, tutti i vini dell’azienda sono oggi fermentati senza l’uso di solfiti aggiunti e di prodotti di sintesi, ma solo con prodotti di derivazione organica e lieviti indigeni in crema ottenuti dalle uve stesse.
Se dovessi esprimere un sogno, delle aspettative sul futuro della tua azienda, quali sono le azioni che vorresti mettere in atto per rendere Tenuta Sant’Antonio competitiva anche negli anni a venire?
Il progetto c’è, e lo abbiamo sul tavolo. Dalla pandemia ad oggi (2020 – 2023) abbiamo stanziato gli investimenti più alti di sempre per mettere nelle condizioni l’azienda di avere un futuro ancora più importante, sia per i nostri collaboratori, sia per i nostri partner esteri per offrire sempre di più una costanza nella qualità e nel servizio di logistica.
Molti investimenti hanno riguardato strutture fisiche, materiali e ampliamenti. Molti altri sulla comunicazione e sulla qualità dei prodotti. Abbiamo voluto sfruttare questo tempo che ci è stato concesso per migliorare e metterci un passo avanti rispetto alle necessità che il mercato ci presentava.
Il prossimo obiettivo sarà mettere a regime l’intero sistema nel suo complesso, efficientando sempre di più i processi e facendo sì che gli investimenti pratici siano convertiti in ottimizzazione.
A livello di percorso siamo a circa metà: auspichiamo che entro la fine del 2024 andremo a completare il lavoro dedicato alla nuova linea di pigiatura, dandoci poi tra i tre e i cinque anni per arrivare a regime, andando a consolidare e potenziare i mercati in cui siamo già presenti e aprendone di nuovi come lo sbocco USA per TÉLOS. Il tutto sarà coadiuvato da importanti progetti di marketing e di brand per meglio comunicare il valore accumulato e costruito negli anni, rispondendo al meglio alle esigenze sia di business che di consumer, in termini di enoturismo. Crediamo fortemente che il turismo sia un passo importante per un’azienda che fa dei valori e del contatto umano il cardine per trasmettere il valore di un prodotto così storico e intrinseco del nostro vivere, come il vino, per lasciare nella mente e nel palato del consumatore un ricordo e l’emozione che solo in Italia, da italiani, possiamo trasmettere, sia come esclusività, che come territorialità e storia.