Si è chiuso in questi giorni, in Giappone, il Vinitaly Roadshow Globale che ha toccato, in tredici tappe, nove Paesi in tre diversi continenti (Europa, Asia e Nord America).

I 9 Paesi “toccati” da Vinitaly (Austria, Germania, Svizzera, Danimarca, Regno Unito, Belgio, USA, Giappone e Corea del Sud) rappresentano i due terzi del valore e del volume di vino tricolore esportato nel 2022 (dati cumulati a settembre 2022).

Come aveva sottolineato l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese, all’inizio del tour, si è trattato di “una campagna senza precedenti verso i Paesi obiettivo del presente e del futuro commerciale del vino italiano che si aggiunge e implementa la programmata azione di incoming di buyer in vista di Vinitaly e per la quale abbiamo già investito più di 3 milioni di euro”.

Alle parole di Danese si erano aggiunte quelle del presidente di Veronafiere Federico Bricolo: “È un lavoro di squadra che vede coinvolte le istituzioni, l’Ice e il sistema camerale, la rete di rappresentanza estera e la struttura interna di Veronafiere. Un’attività in linea con la mission aziendale che guarda in primis alla promozione delle etichette italiane, in un momento particolarmente delicato per il settore impegnato a fronteggiare l’impatto dell’aumento dei costi di produzione. Il Roadshow è anche un’occasione di esplorare nuove opportunità per un presidio stabile della Fiera di Verona su alcuni mercati di interesse, come già in atto con Wine To Asia e Vinitaly China Roadshow per la Cina e la più ampia area del Far East, e con Wine South America per il Brasile e il continente sudamericano”.

Queste erano le premesse del Roadshow. A conclusione di questa attività giunge da Tokyo la dichiarazione dei vertici di Veronafiere che, pur riconoscendo il successo dell’iniziativa, auspicano una promozione più unitaria del sistema vino Italia nel mondo.

Un appello così giusto ma al tempo stesso così “vecchio” che ormai anche il sottoscritto, che si ritiene tra i maggiori “stimolatori” di questa politica unitaria, inizia a dubitare della sua possibile realizzazione.

Anzi, per essere onesto fino in fondo, mi sento di aggiungere che considero oggi queste dichiarazioni solo un mero accreditamento politico e non una reale volontà di fare squadra, una volta per tutte.

Inutile girarci tanto intorno: sul tema della cosiddetta promozione del vino italiano nel mondo girano notevoli risorse economiche. Parliamo di un range tra i 40 e i 60 milioni di euro all’anno. Se a questi aggiungiamo le risorse dell’Ocm che le istituzioni del vino (a partire dai Consorzi di tutela), ma anche le imprese private possono investire sui mercati, tramite diverse entità a partire da Ice e Vinitaly, viene facile comprendere che la posta in gioco è decisamente elevata ed appetibile.

Si tratta di risorse che possono in qualche misura decretare il ruolo e la sopravvivenza di alcune entità.

Nulla di strano o di scandaloso in tutto questo, anzi. Non siamo così ingenui da non comprendere che qualsiasi ente o società può fare al meglio il suo lavoro se dotata delle giuste risorse umane ed economiche.

Io mi ostino a contestare, e non lo faccio certo da adesso, il metodo. E cioè ritengo grave che si continui a parlare di contenitori per la promozione del vino italiano nel mondo e non di contenuti.

Se quindi il tema è finanziare i “contenitori” e scegliere quelli ritenuti più meritevoli, penso che, nella migliore delle ipotesi, cadiamo sempre nel classico spoil system all’italiana.

Mi dispiace doverlo sottolineare ancora una volta ma nemmeno quest’ultimo Roadshow di Vinitaly ha avuto una comunicazione chiara, trasparente riguardo ad obiettivi e risultati.

Si fatica ad intravedere elementi di novità o di originalità nella promozione, ma soprattutto non è chiaro chi vi ha partecipato, a quale titolo, con quali obiettivi.

Nessuno, tantomeno il sottoscritto, vuole mettere in dubbio il ruolo e le capacità di Vinitaly/Veronafiere; non a caso, è da anni che auspico che possa essere proprio l’organizzazione veronese a diventare il capofila del progetto promozionale del vino italiano, ma devono cambiare alcuni presupposti.

E il primo presupposto deve essere la “qualità” del progetto. Non basta dare la garanzia di chi è l’ideatore o l’organizzatore di tale iniziativa promozionale.

È per questo motivo che il “regista” della promozione del vino italiano, qualunque esso sia o sarà, dovrà prima garantire una progettualità forte, innovativa, frutto di un lavoro di squadra con i migliori in questo campo, preferibilmente non provenienti solo dal mondo del vino.

Solo così la genesi di una promozione unitaria del vino italiano sarà quella giusta, quella che non avrà endorsement politici ma il plauso e l’accompagnamento serio delle imprese del vino del nostro Paese.