È appena terminato il nostro viaggio negli Stati Uniti, un tour durato un mese che ci ha tenuti impegnati nella scoperta delle località enoturistiche più famose al mondo, ma non solo. Abbiamo incluso nel nostro viaggio anche zone vitivinicole che sono sconosciute al di fuori dei confini americani per comprendere le strategie originali che tengono in piedi la loro accoglienza.
Eravamo alla ricerca di spunti ed idee che potessero dare una scossa al modello enoturistico italiano, e ci siamo riusciti: gli Stati Uniti ci hanno trasmesso una cascata di idee e di consapevolezze sull’arte dell’hospitality che non vediamo l’ora di trasmettere ai nostri lettori.
Abbiamo stilato un elenco a caldo delle cose più importanti che le aziende enoturistiche italiane dovrebbero sapere per alzare la loro asticella. Ecco le nostre cinque riflessioni.
- Dobbiamo cambiare pelle. L’enoturismo italiano deve cambiare pelle, il proprio punto di vista. Il turismo del vino non può più essere considerato un progetto marginale, un qualcosa che affianca l’attività principale, ma va considerato a tutti gli effetti parte integrante del DNA dell’azienda stessa. Ecco che allora tutto cambia: la logistica, la struttura, le risorse umane, i flussi economici… L’azienda che fa enoturismo in maniera integrata, seria e professionale si concepisce fin dal principio come realtà pensata per essere visitata e per essere un vero e proprio punto vendita. Sembra cosa da poco, ma è un cambio di paradigma che se per alcune aziende c’è già stato, in molti faticano a comprendere.
Il mondo del vino italiano è fortemente incentrato sul prodotto e sulla tradizione, e ciò ostacola il turismo. Se decidessimo di cambiare la nostra impostazione, allora inizierebbe una nuova era per il vino italiano nel canale dell’hospitality. - Le risorse umane sono fondamentali. Ma attenzione, quando parliamo di risorse umane al primo posto mettiamo la testa del titolare. È proprio ai vertici che deve cambiare la visione: ci si deve focalizzare su quello che è l’asset strategico dell’azienda e le persone che vanno a suo supporto. Che si parli di chi pianificherà, di chi studierà, di chi accoglierà o venderà al wine shop, tutte le figure a servizio del comparto enoturistico dovranno essere qualificate.
E no, non servono millenni per formare i propri dipendenti. Se da un lato va trovato il personale adeguato, dall’altro l’azienda deve essere disposta ad investire su di esso. - Il percepito del vino italiano è altissimo. Questo ci fa gioco e ci deve dare forza, energia e coraggio per osare! Già, perché durante il viaggio le centinaia di persone con cui ci siamo confrontati, tra titolari, manager ma anche enoturisti, ristoratori ed importatori, non hanno mai mancato di dirci quanto per loro il vino italiano fosse la cosa migliore che possa esistere.
Ma se il percepito è alto, è nostro compito tenerlo alto. Dobbiamo essere pronti a difenderlo e metterlo a valore invece di essere i primi a svalutarci, venderci o a farci terra bruciata l’uno con l’altro. - Negli Stati Uniti le aziende sono più giovani, ed e proprio questo che ha permesso loro di essere al passo con i tempi. In USA si possono trovare facilmente aziende che hanno aperto da 4, 10 o al massimo 25 anni, e questo per loro implica essere già nate in linea con i trend attuali.
L’esatto contrario vale per le aziende storiche italiane, spesso anche di terza generazione, le quali hanno un imprinting rivolto al passato. Se fino a poco tempo fa il modello italiano poteva andare bene, ora sta scricchiolando. La soluzione è quindi una: fare leva sulla componente giovanile delle aziende ed essere comunque pronti a mettere in discussione tutto quello che ha sempre funzionato fino ad oggi. - Non aspettare l’esterno, parti tu. Non aspettare che siano sempre le leggi, le organizzazioni territoriali, i consorzi, le strade, le associazioni, i colleghi a partire. Non considerare come alibi l’assenza di un ambiente strutturale, di un territorio e sinergia adeguati come scusa per non partire.
Negli Stati Uniti, in ogni territorio visitato siamo andati a conoscere l’azienda che per prima ha avviato un business enoturistico nella zona. Tutte ci hanno detto che all’inizio del loro percorso erano sole. Ogni loro attività di successo è partita da un’iniziativa singola che gli ha fatto credere valesse la pena buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Il nostro appello alle persone che ci leggono quindi è: parti da te. Cosa puoi fare nella tua azienda per migliorare il tuo comparto enoturistico? Tutto il resto verrà da sé. Si dice che dal battito di ali di una farfalla può iniziare uno tsunami. Non è lo tsunami che fa battere le ali alla farfalla, ma il contrario.
Il prossimo Campus formativo sull’hospitality management che partirà il prossimo autunno verterà soprattutto sulla creazione di imprenditori e manager dell’enoturismo capaci di sviluppare al meglio tutte le potenzialità del turismo del vino, compresa anche la comunicazione. Vuoi saperne di più? Scrivici a redazione@winemeridian.com o consulta la pagina del corso!