Arrivare a Cristo di Campobello significa immergersi in quella sicilianità che quando ti entra nella pelle non ti abbandona più. Sono onesto: in Sicilia (come in gran parte del nostro Mezzogiorno) l’esperienza enoturistica è anche sempre un’esperienza umana.

Non che questo si verifichi solo nel Sud Italia, ma sicuramente l’accoglienza meridionale è storicamente qualcosa di più radicato e profondo nella cultura di gran parte delle persone.
E non si tratta di luoghi comuni, ma di un qualcosa che tutti coloro che hanno la fortuna di frequentare il nostro bellissimo Mezzogiorno hanno sperimentato concretamente.
Per questo parlare di turismo del vino nelle regioni del Sud Italia significa evidenziare un modello di turismo che a me piace definire “relazionale”.

Visitare Cristo di Campobello, pertanto, non è “solo” vivere la cosiddetta wine experience, ma poter entrare in contatto diretto con la vita di un’azienda e dei suoi componenti.
Raccogliere il racconto di Carmelo Bonetta, il funambolico e appassionato titolare di Cristo di Campobello, significa condividere insieme a lui la storia di una famiglia, di un sogno, di un’esperienza fatto di gioie e di lutti, di vittorie e di sconfitte. Insomma significa potersi relazionare con donne e uomini ancor prima che con vitigni e vini.

Ma anche il racconto dei vini a Cristo di Campobello assume una comunicazione forte, capace di sprigionare vitalità da ogni parola che viene detta.
La descrizione dei vini da parte di Carmelo, infatti, è qualcosa di altamente intenso che parte dalla declamazione di quella che è la sua filosofia nella produzione (ad esempio del Grillo) per accompagnarti alla degustazione con una sorta di lenta escalation.

Non sono tanti i produttori che sono in grado di creare, come Carmelo, grande aspettativa nel racconto della loro esperienza produttiva e dei loro vini.
Si potrebbe parlare di recita se uno non conoscesse l’assoluta naturalità e autenticità di Carmelo, un produttore ma anche un uomo che apprezziamo da molti anni.
Non si può, però, esaurire il racconto della wine experience in questa splendida azienda di Campobello di Licata senza sottolineare un altro aspetto che fa di questa realtà una meta unica nel panorama vitivinicolo del nostro Paese: la presenza del Cristo ligneo tra le vigne.

La storica presenza del Cristo ligneo tra le vigne dell’azienda, costante meta di pellegrinaggi, conferisce inevitabilmente a questo luogo un’aura particolare, assolutamente unica. Ma Cristo di Campobello è riuscita a non “speculare” con questa presenza mistica così importante lasciandosi quotidianamente “attraversare” dal passaggio di donne e uomini che giungono in contrada Favarotta chiamati da quel qualcosa a cui non tutti sanno dare un nome, ma che molti chiamano Fede.

Infine, tornando a qualcosa di molto più prosaico, non si può non citare, il fantastico “buffet siciliano” che propone Cristo di Campobello in molte delle sue visite su prenotazione.
Il forno a legna e la cucina inserita nel vecchio casale che presto, come mi ha raccontato Carmelo, verrà ristrutturato per diventare anche un piccolo agri-relais, è in grado di regalare fuate dolci e salate (tipiche focacce campobellesi), caponata, arancini, panelle, formaggi di capra girgintana, pane casereccio cunzato con olio di propria produzione e dolci di mandorla.

Che dire: anche se le visite hanno un orario stabilito, da Cristo di Campobello è veramente difficile rispettarlo appieno perché in quest’angolo dell’agrigentino dove la terra è così bianca che quando il sole è alto fai quasi fatica a tenere gli occhi aperti, non vorresti mai andartene via.
E, se ci pensate, è proprio questo che testimonia meglio di tante parole il successo di un’attività di accoglienza.