Esperienze. Dalla cena a casa del produttore, al cimentarsi nell’arte del blending sotto la guida di un cantiniere esperto; dal corso di pittura con il vino con un artista di fama internazionale, alla scoperta di una regione vinicola a cavallo, in bici o in auto (elettriche), o con un altro mezzo di soft mobility. O alla possibilità di fare una degustazione nel luogo di un’apparizione mariana, oggi monumento nazionale e Patrimonio Unesco come il bellissimo ex-monastero dell’Ordine di S.Geronimo.
Sono queste le esperienze che un certo tipo di viaggiatore, appassionato di vino e cibo, ma soprattutto affamato di autenticità sta cercando. Il numero di questi nuovi viaggiatori wine&food è in forte ascesa ovunque nel mondo, e le aziende intenzionate a soddisfare questa nuova domanda turistica si trovano ad affrontare nuove sfide, sia in termini organizzativi che di creatività dell’offerta. Bene ha fatto quindi il network globale Great Wine Capitals a collaborare alla prima riuscita edizione di “Wine Travel Week”, il Forum internazionale dell’enoturismo tenutosi di recente a Porto nel Centro Congressi di Alfândega e organizzato da Essência do Vinho, con il sostegno tra gli altri dall’ente nazionale Portugal Tourism. Il Forum ha riunito in una intensa due-giorni di incontri e workshops un centinaio di espositori provenienti da 10 nazioni, circa 200 buyers e un centinaio di giornalisti del settore, con l’obiettivo di diventare il principale evento enoturistico del mondo. La presenza dell’Italia era assicurata dalla partecipazione della Camera di Commercio di Verona, Great Wine Capital dal 2016, e dai veronesi Ways Tour e cantina Pieropan, fresca di premio “Global Winner – People’s Choice Award Best in Wine Tourism 2023” per la categoria “Architecture & Landscape”.
“Esplorare l’interno del Paese, cenare con la gente del posto sono esperienze di nicchia sempre più richieste – ci spiega Nuno Ribeiro, tour operator portoghese con una vasta esperienza nell’organizzazione di tour wine & food personalizzati. “I più giovani ci dicono chiaramente che non vogliono andare nei musei, preferiscono farsi un giro nei locali di tapas . Quando vanno nei luoghi canonici da turisti lo fanno per le foto da postare su Instagram, ma poi non si fermano lì, vogliono approfondire la vita locale”.
La scoperta del colore locale di una regione o sub-regione in Portogallo è facilitata sia dalla geografia – molte regioni vicine permettono di costruire un tour che tocchi destinazioni diverse in poco tempo – sia da un mondo del vino analogo a quello italiano, cioè composto per la maggior parte da aziende medio-piccole a conduzione familiare. La possibilità di interagire direttamente con il vignaiolo, di sedersi alla sua tavola per mangiare o assaggiare i suoi vini è ciò che rende ogni vista qualcosa di unico. Certo, non tutte le aziende sono pronte per accogliere l’enoturista, ma negli ultimi dieci anni c’è stata una importante evoluzione: “I produttori hanno iniziato a vedere l’opportunità sia di promuovere i loro vini che di creare un’esperienza legata ad essi, rafforzando il legame con i consumatori – commenta Ribeiro – . E’ la nuova era dell’esperienza del vino.
Non ci si limita più a vendere una bottiglia, si vende un’emozione che permette di farsi ancora più vicini al cliente finale. E’ una tendenza, e chi non lo segue resta indietro. Per questo oggi tutti cercano di offrire nuove esperienze, più o meno elaborate. Per questo penso che i vini portoghesi si stiano evolvendo verso l’esterno anche in termini di immagine. Le persone conoscono il vino portoghese, di fama, ma quando vengono qui finiscono per attribuirgli un valore molto più alto, non solo per la sua qualità intrinseca ma anche per ciò che rappresenta”.
Scommettere sull’aspetto esperienziale dell’enoturismo , privilegiando i rapporti diretti, sta portando notevoli benefici anche a Paesi apparentemente insospettabili: “A dispetto della sua fama, fino a pochi anni fa la Francia non si poteva definire un paese enoturistico a causa della struttura del suo business – ci dice Catherine Dayot, direttore generale di Great Wine Capitals e una delle principali artefici della sua creazione. “Le aziende non capivano perché avrebbero dovuto aprire le porte delle cantine ai turisti quando non potevano vendere loro nulla, perché da sempre la vendita del vino francese è appannaggio dei negociants e in tempi più moderni dei rivenditori. Tutto il marketing e la fama degli Chateau erano perciò operazioni fatte per promuovere i singoli brand, ma non c’era la consapevolezza dell’importanza del turismo del vino”. Con il lento ritorno alla normalità del post Covid, le cose hanno iniziato a cambiare velocemente: “Non fidandosi di andare all’estero, i francesi hanno privilegiato le mete più vicino a casa, iniziando così a scoprire la Francia del vino. E poiché questi turisti si spostavano in auto, non solo abbiamo ottenuto un ottimo risultato in termini di numero di visite, ma anche di vendite di vini”. E il mercato nazionale ringrazia.
