Il progetto Sclavia prende vita nel 2003 ad opera delle famiglie Ferrara, Granito e Mormile, con l’acquisto di terreni selvaggi e incolti collocati in una vallata nascosta tra i  Monti Trebulani, baciata dal sole del Sud, ad una quota di circa 500 metri di altitudine.

Da allora, con entusiasmo e dedizione, la strada conduce agli 11 ettari oggi in produzione, tutti a vitigni autoctoni, tra Pallagrello (bianco e nero), Casavecchia, con una piccola porzione di Fiano, produzione di non più di 40-45 quintali per ettaro.

Il luogo oggi ha un fascino arcano, un lussureggiante altopiano  di un verde profondo, l’aria leggera e cristallina di una località di montagna, l’orizzonte che spazia lontano verso la pianura campana. A corredo, l’acqua del pozzo, risultata non a caso batteriologicamente pura …

Punto cospicuo, elemento di discontinuità perfettamente integrata e baricentro ideale della valle è la contemporanea architettura della cantina, progettata dagli architetti Davide Vargas e Luciano Palmiero, due padiglioni moderni e funzionali in cui il legno svolge la funzione di raccordo con la natura circostante, due navate di uno stesso tempio agreste che sovrasta e custodisce la parte ipogea della cantina, progettata per  sfruttare i benefici della lavorazione “a caduta” delle uve.  

Sulla terrazza, tra i due padiglioni, procede la nostra scoperta dell’anima e dei vini di Sclavia, in compagnia di Andrea Granito, contitolare e co-gestore della cantina e di Lello Ferrara, altro esponente della proprietà aziendale.

Sclavia rende omaggio, con la sua ragione sociale ed il suo logo, all’antico nome dell’attuale borgo rurale di Liberi, alla origine e alla storia dei suoi abitanti, originariamente schiavi, appunto, resi “liberi” di chiamarsi tali solo a seguito di un decreto regio di fine Ottocento.

Con Andrea Granito degustiamo anzitutto il Calù, Pallagrello bianco in armonico connubio con un 15% di Fiano; la sua etichetta replica idealmente il payoff aziendale “liberi come falchi, solidi come torri”. Nel bicchiere spicca l’acidità pronunciata dovuta alla quota sul livello del mare e un naso coinvolgente di frutta e miele. Parlando di Pallagrello, l’azienda è impegnata in un virtuoso progetto, condiviso con altre cantine dell’areale, volto alla valorizzazione di questo antico vitigno autoctono delle terre del Volturno, di cui si ha chiara traccia fin dall’epoca romana. 

L’altra grande anima di Sclavia si ritrova nel Casavecchia, che la tradizione vuole ri-scoperto da un contadino post-fillossera nei pressi di un vecchio rudere,  e che oggi degustiamo in purezza, vestito di rosa antico, nello Scirocco, ottenuto per semplice sgrondatura, senza pressa e senza contatto con le bucce. Floreale e fruttato, carattere e insieme immediatezza, una formula che intuiamo felicemente realizzata con un abbinamento di territorio mentre, ad occhi chiusi, prende corpo un pacchero con pomodoro e basilico, con un battuto al coltello di mozzarella di bufala.